Occultamento contabile, no a condanna del prestanome già assolto da bancarotta

Pubblicato il 01 dicembre 2020

La Corte di cassazione ha giudicato fondata l’impugnazione promossa da un imputato contro la decisione che lo aveva condannato per il reato di distruzione e occultamento di documenti contabili.

Nel dettaglio, gli Ermellini hanno accolto i motivi di ricorso limitatamente alla parte in cui era stata contestata la mancata valutazione dei fatti indicati in una sentenza irrevocabile di assoluzione, emessa nei confronti del medesimo ricorrente, per il reato di bancarotta documentale, ai fini del giudizio in ordine alla sua responsabilità per il reato ora contestato di cui all’art. 10 del D. Lgs. n. 74/2000.

Con sentenza n. 33820 del 30 novembre 2020, la Suprema corte ha ritenuto di dover condividere il principio già enunciato in materia dalla giurisprudenza di legittimità per i casi in cui, nel giudizio, venga prodotta una sentenza passata in giudicato che accerti fatti che si assumono essere inconciliabili con quelli in contestazione.

In detta ipotesi – precisa la Corte – il giudice, per evitare che si determini una situazione tale da giustificare una futura richiesta di revisione, è tenuto a verificare la possibile incidenza della decisione irrevocabile e degli elementi di fatto da essa risultanti, sulla posizione dell’imputato.

Tutto ciò alla luce di evidenti ragioni di economia processuale e di razionalità dell’accertamento giudiziale nonché per l’esigenza di evitare il rischio ragionevole, e verificabile, di una condanna “ingiusta”.

Nella decisione, i giudici di Piazza Cavour hanno altresì precisato come l’obbligo di verifica del giudice di merito imponga al medesimo di esperire tutti gli accertamenti utili, laddove abbia dubbi circa l’irrevocabilità della sentenza.

Nella specie, invece, i giudici di merito si erano limitati ad affermare che la sentenza prodotta nel giudizio di appello non era ancora irrevocabile - e ciò erroneamente dato che la stessa era divenuta definitiva un mese e mezzo prima dell’udienza conclusiva del giudizio – e che, comunque, visto che essa era relativa al reato di bancarotta documentale, era da ritenere priva di rilevanza in considerazione del fatto che i due reati potevano anche concorrere.

Decisione irrevocabile, da verificare incidenza su posizione imputato

Orbene, la sentenza prodotta in giudizio, nel decidere sull’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale, aveva anche esaminato la posizione dell’imputato all’interno della società da lui amministrata.

In tale contesto, egli era stato assolto per non aver commesso il fatto perché, pur essendo formalmente il liquidatore dell’ente, doveva essere ritenuto non consapevole del ruolo assunto.

Nella decisione passata in giudicato, infatti, era emerso che l’imputato, persona munita di semplice licenza elementare, aveva dichiarato di essere stato indotto ad assumente la carica di amministratore per conservare il suo posto di lavoro di operaio, da quello che era il vero gestore dell’azienda, un commercialista che aveva anche conservato il potere di firma sul conto corrente della società.

In considerazione dei principi sopra enunciati e degli elementi di fatto emersi, doveva ritenersi che la sentenza di secondo grado impugnata aveva violato il dovere di verificare quale fosse l’incidenza della decisione irrevocabile prodotta sulla posizione dell’imputato, ai fini della ricostruzione del fatto sussumibile nella fattispecie di occultamento di documenti contabili.

In definitiva, posto che l’imputato era risultato completamente estraneo alla concreta gestione aziendale sulla base di una sentenza irrevocabile assolutoria, occorreva verificare se lo stesso avesse avuto contezza delle scritture contabili e se queste non fossero state occultate già in epoca precedente all’assunzione, da parte sua, della carica di amministratore e poi di liquidatore della società.

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