Dal 1° gennaio 2011 Tizio diviene socio di Alfa S.n.c., nell’ambito della quale conferisce, in esecuzione del contratto sociale, denaro e capitali. Dalla visura camerale risulta che Tizio è titolare del 51% del patrimonio sociale. Sin dal suo ingresso in società Tizio presta manualmente la propria attività al fine di concorrere alla realizzazione degli obiettivi societari. Tale attività viene prestata da Tizio in sinergia con gli altri soci, ma senza la denuncia di rischio prevista dall’art. 23 D.P.R. n. 1124/65. Nel mese di agosto 2011 gli ispettori della DTL effettuano un accesso ispettivo presso la sede operativa di Alfa ove trovano Tizio intento al lavoro. Gli ispettori, constatata l’assenza di copertura assicurativa e considerate le istruzioni contenute nella circolare n. 38/2010 del Ministero del lavoro, qualificano Tizio come lavoratore subordinato in nero e applicano la corrispettiva maxisanzione. È corretto l’operato degli ispettori?
Premessa
L’eventuale cumulo di amministratore di società di capitali con l’instaurazione di un rapporto subordinato di stampo dirigenziale in seno alla stessa società è stato illustrato nel caso pratico de “L'ispezione del lavoro” del 10 febbraio 2012, “L'amministratore delegato di una società per azioni può essere anche dipendente della stessa?”. Tale verifica si è conclusa con risposte variegate, poiché strettamente correlate agli assetti proprietari della società e alle modalità di composizione della compagine societaria. Al fine di tracciare un quadro più esaustivo conviene ora scrutinare la fattibilità di tale cumulo nell’ambito delle società di persone, evidenziando sopratutto gli effetti che scaturiscono dall’inadempimento agli obblighi di formalizzazione del rapporto.
Aspetti generali delle S.n.c.
Come già esposto nel caso pratico de “L'ispezione del lavoro” del 29 settembre 2011, “Società in nome collettivo: in caso di illecito, tanti soci amministratori tante sanzioni”, la S.n.c. viene considerata dall’ordinamento il tipo generico di società commerciale e l’iscrizione alla Camera di Commercio comporta l’acquisizione dello status di società regolare. In visura ovviamente vengono iscritti coloro che assumono la posizione di socio, con indicazione delle relative quote di proprietà. La carica di amministratore è connaturata alla posizione di socio, poiché ciascun socio, solo perché tale, e sempre che non fruisca ai sensi dell’art. 2257 c.c. del patto di limitazione della responsabilità, è anche amministratore della società ed è pertanto titolare del potere di rappresentanza e di gestione della società. Senza ripetere concetti già esposti, valga solo osservare che l’amministrazione consiste nell’attività diretta all’esecuzione del contratto di società e quindi alla realizzazione dell’oggetto sociale.
Il socio d’opera
Sul piano dei rapporti interni i soci sono responsabili patrimonialmente in modo illimitato e solidale per le obbligazioni sociali contratte. Ciò spiega perché i soci sono obbligati a conferire in parti uguali, salvo espressa e diversa pattuizione, quanto necessario al raggiungimento dello scopo sociale. Tali conferimenti possono consistere in denaro, capitali, o in opere derivanti dall’espletamento di attività manuali. In quest’ultimo caso il conferente viene definito “socio d’opera” e l’attività prestata non costituisce oggetto di un rapporto di lavoro, ma adempimento agli obblighi derivanti dal contratto di società. In ragione di ciò l’INAIL ha asserito che “[…] l'obbligo assicurativo per il socio di società impegnato ad effettuare prestazioni di opera manuale sussiste a prescindere dal fatto che l'attività lavorativa sia prestata in forma subordinata o meno […]”.
Il socio lavoratore
Diversamente, ove il socio non presti opera manuale, giacché abbia conferito solo capitali, l’obbligo di iscrizione all’INAIL presuppone, sempre secondo le istruzioni diramate dall’Istituto assicurativo, che il socio medesimo abbia instaurato con la società anche un rapporto di lavoro subordinato.
Già da tali osservazioni è pertanto lecito desumere la cumulabilità, in seno alla stessa società, della posizione di socio con quella di lavoratore dipendente. In tal caso si utilizza l’espressione di “socio lavoratore”, distinta da quello di “socio d’opera”, che evidenzia come l’attività del socio venga resa sempre in favore della società, ma non sulla base del contratto di società, bensì su quella di un differente contratto di lavoro.
L’orientamento della Suprema Corte sulla cumulabilità delle posizioni
Costituisce ormai ius receptum il principio per cui le due qualifiche, di socio e di lavoratore, possano coesistere nell’ambito della stessa società di persone, sempre che “[…] ricorrano due condizioni:
che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale;
che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia”.
Quanto alla prima condizione negativa, se la sua individuazione può palesarsi maggiormente quando il conferimento del socio si sia esaurito in un apporto di denaro e l’attività poi resa da quest’ultimo si estrinsechi in servizi od opere, non altrettanto può dirsi allorché il socio abbia conferito la propria attività manuale, giacché in tal caso appare non facile distinguere quando la prestazione costituisca esecuzione del contratto di società e quando invece rappresenti adempimento al contratto di lavoro.
In ordine invece alla seconda condizione positiva si ritiene che a tal fine debba essere valutata la posizione del socio nella compagine sociale, tenendo a mente l’insegnamento della Suprema Corte per la quale “il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni”.
Da ciò si può arguire che il socio di maggioranza o il socio che eserciti poteri gestori penetranti all’interno della società non possono stipulare con quest’ultima anche un contratto di lavoro subordinato, considerata quantomeno l’assenza in capo a costoro del secondo dei requisiti sopra esposti.
Diversamente, ove dovessero ricorrere entrambe le condizioni richieste dalla giurisprudenza per la cumulabilità dell’incarico di socio e di lavoratore, occorre pur sempre rilevare che tale situazione ha natura eccezionale e richiede, da parte del soggetto che ne afferma la sussistenza, una prova puntuale e rigorosa.
La verifica ispettiva sulla cumulabilità delle posizioni societarie e lavorative
Il problema così esposto assume dimensioni rilevanti, e se si vuole anche paradossali, in sede ispettiva, specie ove ci si trovi al cospetto di un socio che abbia conferito, non già la propria opera, ma beni o denaro e che al tempo stesso presti la propria attività manuale in favore della società medesima, in difetto della comunicazione prevista dall’art. 23 D.P.R. n. 1124 cit.
Al riguardo non sembra potersi dubitare sul fatto che la posizione del socio debba ritenersi irregolare.
Il punto semmai è altro ed è rappresentato dalle conseguenze che scaturiscono da tale irregolarità.
La circolare n. 33 del 2009 del Ministero del Lavoro
Il Ministero del lavoro con circolare n. 33 del 2009, nel diramare istruzioni circa le condizioni per l’adozione del provvedimento di sospensione di cui all’art. 14 del D.lgs. n. 81/08, ha affermato che l’irregolarità del lavoratore è data dal mancato invio preventivo della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego ovvero della denuncia di cui all’art. 23 D.P.R. n. 1124 cit. e in ogni caso dalla mancata formalizzazione del rapporto “[…] comprendendovi anche i soggetti che pur risultando indicati nella visura della CCIAA in quanto titolari di cariche sociali svolgono attività lavorative a qualsiasi titolo […]”.
In base a tale circolare, pertanto, il socio che presti opera manuale senza essere iscritto all’INAIL deve ritenersi in ogni caso irregolare, quantomeno ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione indipendentemente dalla circostanza che la carica sociale risulti menzionata nella visura camerale, ergo in un documento avente rilevanza pubblicistica e con effetti dichiarativi nei confronti dei terzi.
Al di là della condivisibilità o meno di tale valutazione, si può asserire comunque che la stessa appare razionale, specie ove venga letta con finalità antielusiva.
Ma il Ministero, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 183/10 (c.d. Collegato lavoro), che ha circoscritto l’applicazione della maxisanzione per lavoro nero ai soli lavoratori subordinati, si è spinto oltre.
La circolare n. 38 del 2010 del Ministero del Lavoro
E infatti con circolare n. 38 del 2010 il Ministero ha stabilito che “[…] per le altre tipologie di rapporto per le quali non è prevista la comunicazione al Centro per l’Impiego (es. lavoro accessorio o prestazioni rese dai soggetti di cui all’art. 4 comma 1 n. 6 e 7 del D.P.R. 1124/65), il requisito della subordinazione è dato per accertato – e quindi troverà applicazione la maxisanzione – qualora non siano stati effettuati i relativi e diversi adempimenti formalizzati nei confronti della pubblica amministrazione, utili a comprovare la regolarità del rapporto […]”. Il Ministero prosegue specificando espressamente che il socio che espleti la propria attività lavorativa in difetto di comunicazione di cui all’art. 23 D.P.R n. 1124 cit. deve ritenersi anche lavoratore subordinato in nero, tale da giustificare l’applicazione della maxisanzione.
Siffatta interpretazione rende cumulabili, sic et simpliciter e senza alcun accertamento, la posizione di socio di società di persone con quella di lavoratore subordinato della medesima società.
In altri termini, con un tratto di penna, il Ministero del lavoro non ha tenuto conto delle regole giurisprudenziali sulla cumulabilità di tali cariche nell’ambito delle società di persone e ha dato invece rilevanza ad una discutibile presunzione di subordinazione.
La circolare n. 36 del 2011 dell’INAIL
L’INAIL non solo non ha condiviso la tesi del Ministero ma ha letteralmente preso le distanze da essa. Infatti con circolare n. 36/2011 l’Istituto assicuratore ha puntualizzato che nella materia de qua “[…] non si possa prescindere dalla dimostrazione da parte del personale ispettivo che il rapporto di lavoro si sia concretamente sviluppato con le caratteristiche del lavoro subordinato (soggezione al potere direttivo e di controllo, obbligazione di mezzi, orario di lavoro, ecc.). Pertanto l’ispettore deve acquisire tutte le fonti di prova per dimostrare la certezza della qualificazione del rapporto di lavoro, sulla base della situazione di fatto riscontrata”.
La circolare n. 179 del 1989 dell’INPS
In ordine alla posizione dell’INPS la stessa risulta espressa nella circolare n. 179/89. Nella prospettiva di garantire una corretta instaurazione dei rapporti di lavoro ed evitare così un’indebita precostituzione di posizioni previdenziali, l’INPS si è uniformato da anni al sopra esposto orientamento della giurisprudenza sull’eccezionale ammissibilità del cumulo della carica di socio con quella di lavoratore dipendente nell’ambito delle società di persone.
Valutazioni sul piano sanzionatorio
Attesa l’antinomia tra l’indirizzo espresso dal Ministero e quello formulato dagli Enti previdenziali e assicurativi, gli scriventi, pur consapevoli delle direttive espresse dal Ministero del Lavoro con nota prot. n. 25/Segr/8716 del 12/06/2009, secondo cui le circolari le note e gli interpelli “[...] hanno carattere vincolante per il personale ispettivo”, sono dell’avviso che debba essere accordata comunque prevalenza all’orientamento formulato dall’INPS e dall’INAIL, giacché in linea con i principi regolatori della materia, così come cristallizzati nell’univoco orientamento della Suprema Corte di Cassazione.
Esame del caso concreto
Ponendo come premessa le argomentazioni sopra esposte si può ora scendere all’esame del caso concreto.
I fatti evidenziano che dal 1° gennaio 2011 Tizio è socio di Alfa S.n.c., nell’ambito della quale ha conferito, in esecuzione del contratto sociale, denaro e capitali. Dalla visura camerale risulta che Tizio è titolare del 51% del patrimonio sociale. Sin dal suo ingresso in società Tizio ha fornito il proprio contributo manuale per realizzare gli obiettivi societari, svolgendo di fatto attività rischiose ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. n. 1124 cit. Sempre in punto di fatto Tizio ha svolto la propria attività quotidianamente e in maniera sinergica e collaborativa con gli altri soci. Tale attività è stata tuttavia svolta da Tizio in assenza della denuncia di rischio prevista dall’art. 23 D.P.R. n. 1124 cit.
Nel mese di agosto 2011 gli ispettori della DTL hanno effettuato un accesso ispettivo presso la sede operativa di Alfa ove hanno trovato Tizio intento al lavoro manuale. Gli ispettori hanno constatato i fatti sopra esposti e correlativamente hanno anche riscontrato che la posizione lavorativa di Tizio non risultava preventivamente comunicata all’INAIL.
In ragione di ciò gli ispettori hanno qualificato Tizio come lavoratore in nero e per l’effetto hanno adottato maxisanzione.
Stando alla lettera delle circolari n. 33/2009 e 38/2010 del Ministero del lavoro si dovrebbe ritenere che l’operato del personale ispettivo è in linea con le istruzioni contenute in tali atti.
Tuttavia ove si prediliga, come appare corretto, una visione armonica e razionale dell’attività amministrativa si dovrebbe concludere in senso opposto a quanto contenuto nelle circolari ministeriali. Valga in primis ribadire che le istruzioni del Ministero sono palesemente in contrasto con le regole giurisprudenziali che governano la materia de qua e con gli orientamenti espressi dall’INPS e dall’INAIL che invece hanno recepito tali regole. E proprio l’applicazione di queste ultime avrebbe confermato nei fatti che Tizio non poteva cumulare la propria posizione di socio con quella di lavoratore subordinato. E ciò, non tanto perché l’attività di Tizio è risultata effettivamente diversa dal conferimento (capitali e denaro) versato per entrare nella compagine sociale di Alfa, quanto perché Tizio è risultato socio di maggioranza di Alfa e dunque titolare di poteri incompatibili con la qualifica di lavoratore dipendente.
Sarebbe stato allora più giusto da parte degli ispettori qualificare Tizio come socio lavoratore irregolare e irrogare, a tal fine, non già maxisanzione, ma semplice diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit. a inviare all’INAIL la comunicazione di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 1124 cit..
Sul piano formale si aggiunga ancora che l’intima contraddizione che sussiste tra la posizione del Ministero del Lavoro (organo di coordinamento dell’attività ispettiva) e l’orientamento invece espresso concordemente dall’INPS e dall’INAIL, tradisce di fatto l’affidamento che i cittadini ripongono sul reale contenuto della volontà della Pubblica Amministrazione e sulla certezza dell’azione amministrativa. Per effetto di tali disarmonie coloro che risultano sottoposti ad azione ispettiva, a fronte di una medesima situazione fattuale, corrono altresì il serio rischio di soggiacere a disparità di trattamento, originata in base all’organo deputato al controllo.
Tali osservazioni lasciano desumere che i provvedimenti sanzionatori adottati nel caso di specie dagli ispettori della DTL, sia pur formalmente rispettosi della circolare n. 38 del 2010 del Ministero del Lavoro, non appaiono comunque immuni da vizi invalidanti, per contraddittorietà manifesta e per contrasto all’orientamento giurisprudenziale formatosi in subiecta materia. E tale vizio, ove puntualmente sollevato avanti al Comitato Regionale dei Rapporti di Lavoro di cui all’art. 17 del D.lgs. n. 124 cit., ovvero in sede giurisdizionale, a giudizio degli scriventi potrebbe determinare la caducazione dell’atto sanzionatorio.
NOTE
i Cfr. circolare INAIL n. 66 del 2008. Con la stessa circolare è stato disposto altresì che “in presenza di attività già assicurata in relazione alla qualità di socio, non rileva lo svolgimento delle funzioni di amministratore” nel senso che non occorre procedere a un’ulteriore copertura assicurativa.
ii Cfr. circolare INAIL n. 66 cit..
iii Cfr. per tutte Cass. civ. Sez. lavoro, 16/11/2010, n. 23129 e giurisprudenza ivi richiamata.
iv Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, n. 23129 cit.
v Cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 09/08/2011, n. 7074 per cui “le circolari amministrative costituiscono atti interni, agli organi ed agli uffici periferici, al fine di disciplinarne l'attività e vincolano, conseguentemente, i comportamenti degli organi operativi sottordinati, ma non i soggetti destinatari estranei all'Amministrazione, che non hanno neppure l'onere dell'impugnativa, potendo direttamente contestare la legittimità dei provvedimenti applicativi; dal che discende, a fortori, che una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d'ufficio dal giudice investito dell'impugnazione dell'atto che ne fa applicazione”; Diversamente Cass. pen. Sez. III, 27/04/2011, n. 19330 “la circolare interpretativa è atto interno alla pubblica amministrazione che si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari poiché non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo. Pertanto, nel caso di specie, nessuna rilevanza può assumere la circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 2699 del 2005 che ammette la condonabilità degli interventi aventi destinazione non residenziale nei confronti del DL n. 269 del 2003 che non lo prevede”.
vi Ove ne ricorrano i presupposti resta salva l’adozione del provvedimento di sospensione, il quale è correlato al concetto di rapporto di lavoro irregolare e non di rapporto di lavoro subordinato.
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