Modelli “231” non solo per le quotate

Pubblicato il 19 marzo 2008 In ambito di diritto dell’economia, si segnala una ricerca Assonime ancora in fase di completamento, con oggetto le precauzioni organizzative del decreto amministrativo n. 231/2001. Presentata a Vicenza, durante un convegno organizzato dall’Osservatorio legislazione e mercati della Fondazione Cuoa e dallo studio di dottori commercialisti Rebecca, la ricerca è un valido riferimento per valutare, a sette anni dall’introduzione, la direzione di marcia di una tra le più interessanti aree del diritto penale commerciale. E’ stata condotta su circa trecento imprese, composte in larga parte da società non quotate (63%) ed in misura minore da quotate (37%). Da essa risulta che ben il 70% degli enti ha adottato un modello organizzativo, sottoposto a manutenzione costante, quindi di volta in volta aggiornato alla progressiva estensione dei reati penali commerciali (da ultimo la sicurezza sul lavoro e il riciclaggio). Ma dal convegno è spuntata una apparente contraddizione del sistema, per cui alla diffusione dei modelli organizzativi corrisponde un’efficacia da dimostrare, come afferma il presidente di Assonime, Vittorio Mancato: “la complessità attuale della disciplina porta ad accentuare il ruolo del giudice penale, chiamato a valutare in concreto l’idoneità e l’attuazione dei modelli organizzativi. Quest’attività di valutazione è delicata perchè dalla commissione del reato non si può desumere automaticamente la prova dell’inadeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa”. Affermazioni di non condivisione del teorema che al reato consumato corrisponda la conclusione che il modello organizzativo attuato fosse inadeguato.
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