Il programma di trattamento elaborato nell'ambito di una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, non può essere modificato dal giudice senza la consultazione delle parti e in assenza del consenso dell’imputato.
La possibilità, per l’organo giudicante, di integrare o modificare questo programma è infatti vincolata al consenso dell’imputato, per come può desumersi sia dall’inequivoco tenore della disposizione di cui all’articolo 464 quater c.p.p., sia dalla struttura stessa dell’istituto, rimesso alla iniziativa dell’imputato.
Deve conseguentemente ritenersi che, in assenza del consenso di quest’ultimo alle modifiche o integrazioni, il programma elaborato d’intesa tra l’imputato richiedente e l’ufficio esecuzione penale esterna, non possa essere modificato e il giudice dovrà decidere su di esso nella sua originaria formulazione.
E’ quanto precisato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 5784 del 7 febbraio 2018, annullando l’ordinanza di modifica di un programma di trattamento di messa alla prova in mancanza del consenso dell’imputata, accusata, nella specie, di omesso versamento Iva.
Nella medesima decisione, la Suprema corte ha, altresì, chiarito che la disposizione sulla sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, contenuta nell’articolo 168 bis, comma 2, c.p., ha natura prescrittiva ma non assoluta, com’è, peraltro, desumibile dall’utilizzo della locuzione “ove possibile”.
E’ quindi ingiustificato ritenere che l’applicazione della sospensione stessa sia necessariamente subordinata all’integrale risarcimento del danno.
Va, ossia, verificato se il risarcimento sia o meno possibile, se l’eventuale impossibilità derivi da fattori oggettivi estranei alla sfera di dominio dell’imputato o se essa discenda, per contro, da quest’ultimo e se, in questo caso, sia relativa o assoluta e riconducibile a condotte volontarie o meno.
Nella vicenda esaminata, la Corte ha anche osservato che l’imputata, al momento della proposizione della richiesta di messa alla prova, era ancora in termini per giovarsi della rottamazione del debito tributario, grazie alla quale le era consentito di restituire ratealmente il solo capitale dovuto, al netto degli interessi.
Ne discendeva che la prescrizione della integrale restituzione di quanto dovuto al Fisco, oltre che priva del consenso dell’imputata, era anche inesatta, alla luce della facoltà dell’imputata medesima di ridurre il debito tributario e, con esso, anche quanto dovuto a titolo di risarcimento.
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