Con ordinanza n. 30612 del 28 novembre 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità di un licenziamento disciplinare che era stato dichiarato illegittimo dai giudici di merito.
La controversia nasce da un fraintendimento tra il datore di lavoro e il dipendente riguardo alla durata del periodo di ferie.
Nonostante un iniziale rifiuto scritto della richiesta di ferie da parte dell'azienda, il periodo era stato successivamente accordato verbalmente.
Tuttavia, il malinteso sulle date autorizzate aveva portato il dipendente ad assentarsi oltre quanto concesso, dando luogo a una contestazione per assenza ingiustificata e al conseguente licenziamento.
La Corte d'Appello aveva concluso che la condotta del lavoratore, pur rilevante sotto il profilo disciplinare, non integrava una giusta causa di licenziamento.
La sanzione espulsiva era stata giudicata sproporzionata rispetto ai fatti accertati, con la conseguente applicazione della tutela indennitaria prevista dalla normativa sul lavoro.
Nel ricorso per Cassazione, la società datrice di lavoro aveva sollevato diverse questioni, contestando sia la valutazione della proporzionalità della sanzione sia l'interpretazione delle disposizioni contrattuali collettive che disciplinano i licenziamenti per assenze ingiustificate.
La Cassazione, nelle sue conclusioni, ha confermato le decisioni di merito, sottolineando che la valutazione della proporzionalità della sanzione è una prerogativa esclusiva dei giudici di primo e secondo grado.
La Corte ha ribadito che il proprio intervento è limitato ai casi in cui emergono errori giuridici evidenti o difetti motivazionali, condizioni che non si riscontrano nella sentenza impugnata.
Inoltre, ha chiarito che le disposizioni della contrattazione collettiva, pur costituendo un parametro di riferimento, non vincolano il giudice nella determinazione della giusta causa, che resta una nozione legale da valutare alla luce delle circostanze specifiche del caso.
L'ordinanza ha anche richiamato il principio della "doppia conforme", che preclude un riesame dei fatti già accertati nei due gradi di merito, salvo errori manifesti.
In questo contesto, la Corte ha giudicato corretta l'interpretazione della sproporzione tra la condotta del lavoratore e la sanzione adottata, considerando il contesto e la mancanza di un pregiudizio significativo per il datore di lavoro.
Il ricorso è stato quindi rigettato, con condanna della società al pagamento delle spese processuali.
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