La questione circa la deducibilità del costo sostenuto da un professionista per l’acquisto di un marchio che identifica uno studio professionale (allo scopo di incrementare la propria clientela e applicare tariffe più elevate) è stata trattata dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione numero 30 di ieri. Nel caso specifico, dopo aver precisato che non è possibile configurare l’operazione come cessione di un bene immateriale, in quanto la nozione di marchio attiene alla sfera dell’impresa e non a quella professionale, che è caratterizzata dall’esistenza dell’intuitus personae – per il quale non è possibile separare il marchio dalla figura del professionista – l’Agenzia ribadisce che la cessione del marchio rappresenta un normale contratto di natura obbligatoria. In quanto tale, il costo sostenuto per fruire del buon nome dello studio titolare del marchio, appare sicuramente inerente all’esercizio dell’attività professionale e, quindi, deducibile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo. Anche per quanto riguarda il titolare del marchio, le somme percepite sono rilevanti ai fini della determinazione del suo reddito: gli importi, infatti, devono essere assoggettati a tassazione, tra i redditi diversi, ed in particolare tra quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere (Tuir articolo 67, lettera 1, comma 1). Essendo soddisfatto, inoltre, sia il requisito oggettivo che quello soggettivo, la prestazione citata è soggetta a Iva.
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