Il punto oggi controverso della circolare 18/E emanata il 4 aprile, è rappresentato dalla previsione - corretta ieri per un vizio di forma che, tuttavia, non incide sulla sostanza di cui ora si discute - che anche i rapporti da “scudo” siano da comunicare all’Anagrafe tributaria (o “Archivio dei rapporti con operatori finanziari”). E’ di segno diametralmente opposto il senso dell’articolo 14, comma 350/01, che recita: “gli intermediari non devono comunicare all’amministrazione finanziaria, ai fini degli accertamenti tributari, dati e notizie concernenti le dichiarazioni riservate”, con ciò intendendo il legislatore precludere la comunicazione alle Entrate anche di dati e notizie inerenti conti di deposito che accolgono capitali ed attività finanziarie rimpatriate (circolare 99/E dell’anno 2001).
D’altro canto, la stessa circolare 18 afferma che il segreto può – “in ogni caso” (è questa l’espressione utilizzata all’origine, corretta ieri con l’altra “eventualmente”) – essere opposto al Fisco all’atto della richiesta di informazioni specifiche sui contenuti del rapporto. Non si comprende, alla luce della riportata specificazione, che interesse abbia, allora, l’Amministrazione finanziaria a venire a conoscenza del rapporto stesso.
Agganciamo alla nota fin qui svolta sulla circolare con oggetto le indagini finanziarie, il principio di diritto espresso dalla sentenza 7957 emessa il 30 marzo dai giudici di ultime cure, che – ribaltando un loro precedente orientamento, dichiarato nella pronuncia 13819/2003, in cui ritenevano che la norma in tema di accertamenti bancari non autorizzasse l’applicazione tout court delle presunzioni anche ai conti intestati ai terzi, soci o familiari - rendono conclusioni sul medesimo tema: le presunzioni in materia di accertamenti bancari si estendono ai conti correnti sui quali opera il cittadino contribuente, pur intestati ai familiari.
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