L’indennità anticipa l’aumento

Pubblicato il 09 settembre 2008 A causa del ritardo con cui vengono rinnovati i Ccnl sorge il problema di inquadrare correttamente, da un punto di vista giuridico, l’indennità di vacanza contrattuale (Ivc) prevista dal Protocollo del 1993. Dopo un periodo di carenza contrattuale di tre mesi dalla data di scadenza del contratto, il lavoratore ha infatti diritto ad un elemento provvisorio della retribuzione. Tale importo varia a seconda del ritardo con cui viene rinnovato il contratto, passando dal 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai minimi contributivi vigenti inclusa la ex indennità di contingenza, nel caso di un ritardo di tre mesi, fino al 50% dell’inflazione programmata per periodi di slittamento maggiori. A questo punto ci si domanda se sia corretto trattenere l’Ivc dall’importo una tantum previsto dal rinnovo contrattuale del settore commercio a copertura del periodo di carenza contrattuale, dal momento che tale accordo non dispone nulla al riguardo. Il problema non si pone per tutti quei contratti collettivi in cui si manifesta chiaramente la posizione da adottare in questa specifica circostanza. Per la maggior parte dei contratti, infatti, è previsto che l’importo una tantum vada aggiunto all’indennità prevista dall’accordo del 1993. Per i casi come quello del settore commercio, invece, si può rinviare al riferimento giurisprudenziale offerto dalla sentenza 211/07 della Corte di appello di Firenze. Secondo i giudici fiorentini l’indennità di vacanza contrattuale deve essere sottratta dall’importo degli arretrati previsti dal rinnovo del contratto del commercio. In caso contrario l’Ivc perderebbe la funzione di anticipo degli aumenti a vantaggio di una sorta di funzione sanzionatoria.
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