Beta esercita l’attività di vendita di prodotti alimentari. Parte dei prodotti, in attesa della commercializzazione e dell’esposizione al pubblico, vengono conservati in magazzino all’interno di celle frigorifere. Beta applica a tutti i propri dipendenti un unico contratto collettivo e segnatamente quello previsto per il settore alimentare. Tizio e Caio, dipendenti di magazzino, chiedono a Beta l’applicazione dei contratto collettivo previsto per gli addetti alle celle frigorifere (c.d. cellisti). La richiesta viene disattesa da Beta e in conseguenza di ciò i predetti dipendenti si rivolgono alla DTL perché svolga gli accertamenti di competenza. Gli ispettori potranno sindacare la scelta di Beta? Ed eventualmente in quali termini?
Premessa
Dopo avere esaminato il portato applicativo dell’art. 2070 comma 1 c.c. e l’incidenza spiegata dalla norma sulle attribuzioni funzionali del personale ispettivo, occorre ora soffermare l’attenzione sul secondo comma dell’articolo in commento, il quale dispone che “se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività”. Come affermato nella precedente esposizione, la circostanza che la norma sia stata dettata sotto la vigenza dell’abrogato ordinamento corporativo, giustificherebbe l’asserzione per cui anche il secondo comma dovrebbe ritenersi incompatibile con l’attuale contesto normativo, basato sui principi di libertà sindacale e sull’efficacia inter partes degli atti negoziali. Invece, con sorpresa, deve registrasi un orientamento ormai consolidato che considera la categoria economica di appartenenza del datore di lavoro un criterio tuttora valido per la determinazione del contratto applicabile nell’ipotesi in cui il datore di lavoro eserciti plurime attività. Ben si comprende che l’assunto ha conseguenze dirette anche per la definizione dei poteri ispettivi volti ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 124/04 a vigilare sulla “corretta applicazione dei contratti e di accordi collettivi di lavoro”.
Per amore di verità deve comunque osservarsi che un orientamento, sebbene minoritario, ma coerente con una logica unitaria dell’art. 2070 c.c., ritiene che la pluralità di attività esercitate dal datore di lavoro non possa costituire un criterio per limitare l'autonomia negoziale delle parti nella scelta del contratto applicabile. Secondo tale assunto l’art. 2070 c.c. non potrebbe applicarsi in ciascuna sua disposizione poiché nell’attuale ordinamento, diversamente dal periodo corporativo, il contratto collettivo non è fonte del diritto né conseguentemente ha un’efficacia generale, ma semmai limitata alle sole parti contraenti. Il concetto viene riassunto nella formula per cui i contratti collettivi sono espressione dell’autonomia negoziale e perciò sono denominati di diritto comune e come tali determinano essi stessi la categoria merceologica di appartenenza. A tutto voler concedere, il secondo comma dell’art. 2070 c.c. avrebbe un valenza molto teoricamente circoscritta ai collettivi corporativi e ai più che marginali accordi recepiti nei decreti legislativi del 1960. Con la conseguenza che nell’attuale sistema di relazioni industriali la pluralità di attività esercitate non costituisce criterio che possa conferire vigenza applicativa all’art. 2070 c.c. e derogare così al principio della libertà sindacale per il quale è rimessa alla scelta del datore la tipologia di contratto da applicare a ciascuna attività esercitata. Resta salvo, si intende, il rispetto del c.d. minimale contributivo e la facoltà del lavoratore di invocare il rispettivo contratto di categoria ove questo preveda un trattamento retributivo migliorativo e corrispondente al precetto dell’art. 36 Cost..
L’orientamento consolidato sulla natura vincolante dell’art. 2070, comma 2, c.c.
Sennonché l’orientamento giurisprudenziale tuttora dominante ritiene che, anche nell'ordinamento postcorporativo, all'art. 2070 debba riconoscersi un’effettiva e vincolante finalità pubblicistica, qualora il datore di lavoro eserciti congiuntamente plurime attività. Secondo tale indirizzo occorrerebbe verificare l’accessorietà o l’autonomia delle attività svolte. In altre parole, laddove le distinte attività siano tra loro autonome, sotto il profilo tecnico e produttivo, allora ciascuna di esse dovrebbe essere disciplinata dalla regolamentazione contrattuale prevista per i rispettivi settori merceologici. Qualora, invece, le distinte attività siano marginali, ovvero si pongano in rapporto di complementarietà ed accessorietà rispetto ad un’attività principale e perseguano un unico fine ontologicamente considerato, dovrebbe applicarsi un unico contratto collettivo e precisamente quello relativo al settore in cui viene spiegata l'attività principale. Secondo recente giurisprudenza tale criterio si giustificherebbe ancora di più laddove l’impresa partecipi a gare per lavori o servizi pubblici, attesa la necessità di garantire il rispetto dei principi di concorrenza e parità di trattamento codificati dall’art 2 del D.lgs. n. 163/06. In questo caso, secondo tale assunto, l’applicazione di un contratto collettivo diverso da parte delle imprese partecipanti ad una gara di appalto comporterebbe “[…] una differenza di condizioni iniziali, in particolare nel costo del lavoro, che già di per sé non assicura il rispetto di tali fondamentali principi”.
La prassi amministrativa
Sull’argomento si è espresso anche il Ministero del Lavoro che, interpellato sull’eventuale sussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Cassa Edile da parte di un’impresa che espleti lavori edili, in misura quantitativamente rilevante ma non prevalente rispetto al complesso delle attività svolte dalla medesima, ha affermato che a tale fine “rileva l’intera situazione aziendale”. Con la conseguenza che l’azienda che effettua lavorazioni in un settore differente rispetto a quello edile e tali lavorazioni, quantunque collegate con quello murario, siano prevalenti e assorbenti, non sussisterebbe l’obbligo di versamento alla Cassa Edile. Precisa infatti il Ministero che in tali casi, infatti, “il criterio della rilevanza dell’intera situazione aziendale non consente di scindere all’interno della verifica contributiva le eventuali lavorazioni edili svolte”. Sebbene la risposta ministeriale non contenga un espresso riferimento all’art. 2070 comma 2 c.c., il contenuto della stessa pare che possa essere letto nel senso di adesione al criterio dell’attività prevalente, così come recepito, dal consolidato, ma alquanto criticabile, orientamento della giurisprudenza.
Il concetto di attività autonoma
Quanto poi al concetto di attività autonoma o complementare può osservarsi, in via descrittiva (atteso che la definizione è strettamente interdipendente con le modalità concrete di svolgimento dell’attività), che l’autonomia postula la sussistenza di risorse economiche, umane e strumentali organizzate in maniera stabile e che abbiano una precisa identità rispetto a un altrettanto pertinente finalità di impresa, che caratterizza di per sé l’attività imprenditoriale. Diversamente, quando tali risorse e/o strumenti non abbiano una precipua capacità distintiva, perché risultano funzionalmente dipendenti rispetto ad altre attività, allora deve ritenersi che tali attività abbiano carattere ancillare e non appaiano meritevoli, secondo la sopra esposta prospettazione, di una distinta regolamentazione contrattuale.
I poteri ispettivi
La determinazione del contenuto dei poteri ispettivi è funzionalmente dipendente alla prospettazione cui si intende aderire.
Infatti laddove si ritenga, in maniera logica e coerente, che l’art. 2070 comma 2 c.c. non abbia efficacia vincolante nei confronti della contrattazione collettiva di diritto comune al pari del comma 1 del medesimo articolo, allora le conclusioni cui si giunge non possono essere diverse rispetto a quelle esposte nel caso pratico de “L'Ispezione del Lavoro”, del 1° febbraio 2013, “Anche un'impresa non artigiana è libera di applicare il ccnl previsto per il settore artigiani, ma …” al quale si rinvia per ogni delucidazione.
Diversamente, ove si aderisca all’orientamento prevalente, che considera tuttora vigente l’art. 2070 comma 2 c.c. nell’ipotesi di plurimo esercizio di attività di impresa, ciò comporta un’incidenza significativa anche sul contenuto dei poteri ispettivi il cui esercizio, invero, potrà eziandio imporre a un datore di lavoro di regolamentare i rapporti di lavoro presenti nell’impresa, con specifici e plurimi contratti collettivi, ove le attività esercitate siano autonome, ovvero con un solo tipo accordo qualora sia ravvisabile il criterio della prevalenza merceologica.
In tale modo l’inciso di cui all’art. 7 comma 1 lett. a) del D.lgs. n. 124 cit. assume valenza nel senso che l’erroneo inquadramento contrattuale dei dipendenti può essere suscettibile di emendamento mediante l’esercizio, da parte degli ispettori, di poteri “correttivi” volti a stabilire l’esatta regolamentazione dei rapporti di lavoro. Ciò significa che laddove il datore di lavoro abbia applicato ai propri dipendenti accordi non conformi al criterio della prevalenza merceologica gli ispettori potranno procedere alla conversione di tutti i rapporti di lavoro in conformità agli accordi applicabili ai distinti e autonomi settori ovvero all’accordo previsto per l’attività considerata prevalente, con contestuale rideterminazione dei trattamenti quantomeno previdenziali.
Il caso di specie
Risulta in punto di fatto che Beta esercita l’attività di vendita di prodotti alimentari. Parte dei prodotti, in attesa della commercializzazione e dell’esposizione al pubblico, vengono conservati in magazzino all’interno di celle frigorifere. Beta applica a tutti i propri dipendenti un unico contratto collettivo e segnatamente quello previsto per il settore alimentare. Tizio e Caio, dipendenti di magazzino, hanno chiesto a Beta che i propri rapporti di lavoro vengano regolamentati dal contratto collettivo previsto per gli addetti alle celle frigorifere (c.d. cellisti). La richiesta è stata disattesa da Beta e in conseguenza di ciò i predetti dipendenti si sono rivolti alla DTL per gli accertamenti di competenza.
Quanto premesso porta a ritenere che Beta eserciti oltre all’attività di commercializzazione dei prodotti alimentari anche quella tipica di conservazione. Si tratterebbe di due distinte attività per le quali gli organismi sindacali hanno previsto differenti e apposite regolamentazioni contrattuali. Ebbene (alternativamente alla prospettazione che considera non più vigente l’art. 2070 c.c. e le cui conclusioni non differiscono da quelle espresse nel caso pratico de “L'Ispezione del Lavoro”, del 1° febbraio 2013, “Anche un'impresa non artigiana è libera di applicare il ccnl previsto per il settore artigiani, ma …” ), l’adesione alla prospettazione che considera l’art. 2070 comma 2 c.c. norma tuttora vincolante anche per il personale ispettivo per effetto dell’interpello n. 18 del 2012, comporterebbe l’effettiva possibilità da parte degli ispettori di verificare il criterio con cui la parte datoriale ha deciso di regolamentare i complessivi rapporti di lavoro presenti nell’impresa.
L’ammissibilità del sindacato consente così di scendere nel merito della scelta datoriale onde saggiarne la legittimità rispetto al criterio della prevalenza merceologica previsto per l’appunto dall’art. 2070 comma 2 c.c.. Appare plausibile ritenere che la conservazione dei prodotti alimentari nelle celle frigorifere non abbia una finalità propria rispetto a quella di vendita e commercializzazione del prodotto. In altre parole la conservazione dei prodotti nelle celle frigorifere assume una dimensione propedeutica, ma pur sempre complementare rispetto a quella che costituisce invero il core business di Beta: esercizio di vendita al pubblico dei prodotti alimentari. Se ciò è vero allora non pare dubitabile che la scelta di quest’ultima di regolamentare i rapporti di lavoro di tutti i dipendenti prendendo a riferimento il contratto collettivo degli alimentari appare corretta, perché quest’ultima costituisce attività prevalente rispetto a quella di conservazione, che non sembra avere i requisiti di autonomia sufficienti a giustificare l’applicazione di una differente disciplina collettiva.
NOTE
i Cass. SS.UU. ord. n. 695/92; Cass. Civ. n. 3574/91.
ii T.A.R. Lombardia, Milano n. 5265/07; Cass. Civ. n. , 23 settembre 2000, n. 12624/00; Cass. Civ. n. 9801/97; Cass. Civ. n. 4937/95; Cass. Civ. n. 4324/92; Cass. Civ. n. 6919/91; Cass. Civ. n. 3229/93.
iii Risposta a interpello n. 18 del 2012.
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