Licenziamento disciplinare illegittimo per fatti penali non contestati al dirigente

Pubblicato il 06 aprile 2018

La Corte di Cassazione, con sentenza del 26 marzo 2018, n. 7426, ha affermato che il dipendente con la qualifica di dirigente non può essere licenziato per fatti penali se essi non sono oggetto di contestazione disciplinare e che un eventuale licenziamento per giustificata causa può essere dichiarato illegittimo.

Violazione dei doveri della buona fede e della correttezza

Nel caso di specie, la Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, il quale era stato licenziato per giusta causa per via della violazione dei doveri di buona fede e correttezza, per essere stato implicato nella gestione fallimentare di altra società, da egli introdotta quale cliente all’azienda presso cui era impiegato, senza però ricevere formale contestazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Tuttavia, posto che, in primo grado di giudizio, era emerso il coinvolgimento del dirigente anche in una vicenda penale di evasione fiscale dell’IVA, la Corte d’Appello aveva confermato la sussistenza della giusta causa posta alla base del recesso datoriale.

Dirigente aziendale non esente dall'applicazione delle garanzie procedimentali

Ribaltando la sentenza della Corte d’Appello, la Cassazione ha stabilito che, nonostante la particolare posizione del dirigente e la relativa disciplina in materia di recesso, dovute al relativo vincolo fiduciario che lo lega alla parte datoriale, nel caso specifico di licenziamenti disciplinari, “le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, commi 2 e 3, della legge del 20 maggio 1970, n. 300 (G.U. del 27 maggio 1970, n. 131) debbano trovare applicazione anche laddove il destinatario della sanzione espulsiva sia un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa, essendo tali norme espressione di un principio di generale garanzia fondamentale”.

Di conseguenza, tali garanzie vanno applicate anche nell'ipotesi del licenziamento di un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa, laddove il datore gli addebiti un comportamento negligente o colpevole tale da pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti.

Pertanto, come affermato in Cassazione nel caso de quo, la violazione delle suddette garanzie preclude la possibilità di valutare le condotte causative del recesso e comporta, quindi, l’illegittimità dello stesso.

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