Fumo in orario di lavoro, licenziamento per giusta causa?

Pubblicato il 29 giugno 2020

La Cassazione ha confermato l’annullamento di un licenziamento disciplinare irrogato al dipendente di un’impresa di pulizie per aver contravvenuto al divieto di fumare durante l’orario di lavoro.

I giudici di appello avevano escluso che il fatto addebitato al lavoratore rientrasse nella previsione del CCNL Pulizie – Multiservizi che ricollega il licenziamento ai casi in cui il prestatore venga trovato a “fumare dove può provocare pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti”.

Nella specie – avevano sottolineato in sede di gravame – doveva ritenersi integrata la previsione collegata al mero divieto di fumo, dettata da altra disposizione del medesimo CCNL e punita con la sanzione conservativa dell’ammonizione o della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Da qui la declaratoria di illegittimità del licenziamento comminato dalla società datrice e conseguente applicazione della tutela reintegratoria.

Queste conclusioni sono state confermate dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 12841 del 26 giugno 2020.

Secondo gli Ermellini, il percorso logico-giuridico seguito nella decisione impugnata era corretto e rispettoso dei principi di diritto formulati in sede di legittimità con riguardo al codice disciplinare contenuto nei contratti collettivi.

La Corte distrettuale, una volta accertata la sussistenza della nozione legale di giusta causa di licenziamento alla luce delle fattispecie previste dal CCNL di settore e sulla base della scala valoriale ivi contenuta, era pervenuta alla esclusione della ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva.

Ai fini della scelta del sistema sanzionatorio da applicare, infine, era stata svolta una corretta disamina sulla ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 18, comma 4, Legge n. 300/1970, per accedere alla tutela reintegratoria.

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