Ai fini della revoca dell’assegno divorzile, l’attitudine dell’ex coniuge beneficiario al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita e ciò in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale.
Non bastano, per contro, “mere valutazioni astratte e ipotetiche”.
E’ il principio ricordato dalla Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 18522 del 4 settembre 2020, di rigetto di una domanda volta alla revoca dell’assegno di divorzio disposto a carico del ricorrente ed in favore della ex moglie di questi.
Secondo gli Ermellini, le censure promosse dall’uomo non si confrontavano con l’iter argomentativo espresso dai giudici di merito, secondo il quale non erano stati allegati fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile tali da giustificare modifiche o la revoca dell'assegno di mantenimento, mentre la beneficiaria, dal canto suo, aveva dimostrato di essersi attivata, senza successo, nella ricerca di un lavoro stabile che le consentisse di raggiungere l’autosufficienza economica.
Nel caso esaminato – ha precisato la Suprema corte – la valutazione di merito in ordine all’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive era stata effettuata dalla Corte territoriale. Le doglianze lamentate dal ricorrente, ciò posto, erano prive di specifica attinenza e inconferenti.
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