L’art. 182 septies L.Fall. (come integrato dal D.L. n. 83/2015, convertito nella legge 132/2015) disciplina due nuovi istituti giuridici: l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, al quale sono dedicati i primi quattro commi, e la convenzione di moratoria, disciplinata dai successivi due commi. Tale articolo, introdotto con il D.L. 27 giugno 2015, n. 83, ha subito in sede di conversione un’unica sostanziale modifica.
La finalità della nuova norma è quella di risolvere alcune problematiche concrete che ci si trova a fronteggiare nei tavoli di ristrutturazione dove, non di rado, taluni istituti (solitamente quelli con una minore esposizione debitoria) si “sfilano” dalle trattative e si sottraggono alla sottoscrizione degli accordi, talvolta causando la mancata conclusione degli stessi e la conseguente necessità per il debitore di accedere alle più invasive procedure concorsuali.
Condizione affinché si possa ricorrere all’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, che rappresenta di fatto una variante dell’accordo di ristrutturazione ex art.182 bis, è che ricorra una crisi d’impresa con prevalente indebitamento verso gli intermediari finanziari, dovendosi intendere per tale, come si evince dal primo comma dell’articolo in commento, quella crisi in cui l’impresa abbia debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo.
Sussistendo tale condizione, la disciplina di cui all’art. 182 bis è integrata dalle disposizioni contenute nei commi secondo, terzo e quarto del nuovo art. 182 septies.
In altre parole, in presenza di un indebitamento finanziario che raggiunga almeno la soglia del 50%, il debitore può stipulare un accordo di ristrutturazione, individuando una o più categorie tra i creditori bancari che abbiano tra loro posizione giuridica ed interessi economici omogenei e chiedere che l’accordo produca effetti anche verso i creditori finanziari non aderenti. Ciò in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile (che rispettivamente statuiscono che il contratto ha forza di legge solo tra le parti e non produce effetto rispetto ai terzi, e che anche la stipulazione a favore di terzi può avere effetto nei loro confronti solo quando accettino di profittarne).
È bene ricordare, come opportunamente precisato dal legislatore con l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 182 septies, che restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari (i quali, ai sensi dell’art. 182 bis dovranno essere integralmente soddisfatti nei termini ivi indicati).
Il debitore può chiedere che l’accordo produca effetti anche nei confronti dei creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria a condizione che:
Va sottolineato che la percentuale del 75% deve essere calcolata e realizzata nell’ambito delle singole categorie, non potendo raggiungersi tale percentuale sommando la percentuale di creditori aderenti appartenenti categorie diverse. La norma precisa che una banca o intermediario finanziario può essere titolare di crediti inseriti anche in più di una categoria.
In relazione a tale comma si pongono una serie di problematiche interpretative:
La legge di conversione ha eliso la previsione che aveva suscitato maggiori perplessità e che, secondo i primi commentatori del D.L., avrebbe di fatto potuto assoggettare la norma a censure di legittimità costituzionale. È stato infatti soppresso l’intero periodo che prevedeva che i creditori, ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo, fossero considerati aderenti all’accordo ai fini del raggiungimento della soglia del 60% prevista dall’art. 182 bis comma 1 per l’omologazione dell’accordo stesso. Evidentemente in sede di conversione il legislatore ha convenuto sull’inammissibilità di tale forzatura che avrebbe sovvertito la base logica dell’accordo e la sua giustificazione economica e razionale.
Sono rimaste invece invariate le altre disposizioni del nuovo art. 182 septies e quindi la previsione secondo cui ai fini della suddivisione in categorie, non si tenga conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.
Nessuna modifica è stata apportata, invece, al regime pubblicitario e al procedimento omologatorio dell’accordo.
Il debitore, oltre agli adempimenti pubblicitari previsti in tema di accordo ex art. 182 bis (pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese), deve quindi notificare il ricorso e la documentazione di cui al primo comma dell’art. 182 bis (relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria; stato analitico ed estimativo delle attività; elenco nominativo dei creditori; titolari diritti reali o personali; piano; attestazione) ai creditori bancari non aderenti ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo. Costoro possono proporre opposizione entro 30 giorni dalla notificazione del ricorso.
Ai fini omologatori, il Tribunale, previo accertamento che le trattative si siano svolte in buona fede, deve verificare la sussistenza dei seguenti tre requisiti in ordine ai creditori finanziari “coattivamente aderenti”:
L’unico requisito che non pare destare particolari problemi è quello di cui al punto 2, vale a dire l’obbligo di completa ed aggiornata informativa, considerato che il debitore è tenuto a notificare ai creditori non aderenti unitamente al ricorso un completo set informativo sull’accordo e sulla situazione economica e finanziaria.
Non v’è dubbio invece che i requisiti di cui al punto 1 e 3 possano dare adito a diverse interpretazioni da parte dei tribunali, chiamati a vagliarne la sussistenza.
Le maggiori criticità riguardano senz’altro il requisito di cui al punto 3, che richiede una valutazione comparativa tra situazioni satisfattive alternative, definite dalla norma “concretamente” praticabili. La soluzione satisfattiva offerta dall’accordo dovrà, infatti, essere comparata con la soluzione satisfattiva che potrebbe realizzarsi nell’ambito di una procedura fallimentare ovvero concordataria, nonché nell’ambito di una procedura espropriativa individuale, ove ricorrano i presupposti per la relativa proposizione. Il raffronto è certamente difficile se si considera che negli accordi di ristrutturazione, per definizione, la soddisfazione dei creditori non segue le regole della graduazione previste dall’art. 111 l. fall., che troverebbero invece applicazione in caso di riparto concorsuale.
I primi commentatori del D.L., tenuto conto delle criticità valutative che presenta il tema della convenienza (anche in relazione all’elemento temporale e alla variabilità dei fattori da considerare), avevano suggerito di espungere tale condizione ovvero di eliminare il termine “concretamente” che può dare adito a diverse interpretazioni, ma il legislatore evidentemente l’ha ritenuta indispensabile. V’è chi ha osservato, infatti, che le situazioni satisfattive alternative devono essere apprezzate nella loro concretezza e che “la valutazione comparativa non può ridursi ad una valutazione meramente astratta in rapporto a situazioni potenziali”.
Non v’è dubbio che l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti ai fini dell’omologazione dell’accordo è posto a carico del debitore proponente e che il tribunale sarà pressoché sempre costretto ad avvalersi di un ausiliario per la relativa verifica.
È probabile che sul punto sorgeranno numerosi contenziosi.
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