Gamma S.n.c. esegue alcuni lavori di ristrutturazione di una privata abitazione. Nel corso delle lavorazioni Gamma S.n.c. resta in arretrato con il pagamento delle retribuzioni. I lavoratori chiedono così l’intervento del personale ispettivo per conseguire i propri crediti. Gli ispettori, all’esito del procedimento, adottano il provvedimento di diffida accertativa nei confronti di Gamma S.n.c.. Quest’ultima, non ottemperando al provvedimento, viene intimata al pagamento mediante decreto direttoriale. I lavoratori, una volta conseguito il titolo esecutivo e venuti a conoscenza che il patrimonio di Gamma S.n.c. non risulta capiente, decidono di intraprendere un’azione esecutiva contro i soci di quest’ultima, utilizzando la diffida accertativa adottata dal personale ispettivo. È legittima la decisione dei lavoratori?
Premessa
Il regime di solidarietà passiva per crediti maturati in esecuzione delle prestazioni di lavoro involge anche la posizione del socio nelle società di persone. Sicché, anche in tale ambito, si pone un problema di efficacia soggettiva del titolo esecutivo conseguito dal lavoratore per la riscossione coattiva del credito di lavoro.
Qualora il titolo sia costituito da una diffida accertativa, ci si chiede se tale provvedimento, conseguito nei confronti della società datrice di lavoro, possa essere utilizzato dal lavoratore anche contro il socio. In prima battuta la questione appare assimilabile alla fattispecie trattata con l’ultimo contributo pubblicato in questa rivista e pertanto potrebbe essere risolta facendo applicazione dei criteri e dei principi in esso esposti.
Tuttavia l’assunto potrebbe venire scalfito se, valorizzando il vincolo sociale, si giungesse a identificare la responsabilità del socio con quella della società, al punto da considerare entrambi contitolari di un’unica obbligazione. In tale evenienza, infatti, il passaggio logico successivo sarebbe quello di estendere al socio l’efficacia del titolo esecutivo ottenuto nei confronti della società.
Tale impostazione, benché sia stata accolta dalla giurisprudenza prevalente, appare criticabile e comunque non pare che consenta di equiparare la responsabilità solidale che lega il socio alla società con quella disciplinata dall’art. 29, comma 2, D.lgs. n. 276/03 ovvero dall’art. 2112 c.c..
Ma prima di entrare nel merito dell’argomento si ritiene opportuno richiamare alcuni principi sull’autonomia soggettiva e patrimoniale delle società di persone.
L’autonomia delle società di persone
Le società di persone sono caratterizzate dalla prevalenza dell’elemento personale su quello economico. Al riguardo si afferma che le società di persone, a differenza delle società di capitali, non hanno personalità giuridica, ma godono comunque di “soggettività giuridica”. Ciò significa che queste ultime sono pur sempre “soggetti di diritto”, ossia autonomi centri d’imputazione d’interessi giuridicamente tutelati, perché soggetti distinti dai soci e come tali titolari di propri rapporti giuridici e di propri patrimoni. Sul piano patrimoniale poi la circostanza si esprime con il riconoscimento alle società di persone di un’autonomia patrimoniale imperfetta, la quale comporta che delle obbligazioni contratte dalla società risponde illimitatamente e solidalmente anche il socio. I creditori della società in sostanza hanno davanti a sé più patrimoni su cui soddisfarsi e cioè il patrimonio della società e quello dei singoli soci illimitatamente responsabili. Tuttavia la responsabilità di questi ultimi è di natura sussidiaria ed opera unicamente in fase esecutiva e consente ai soci di opporre, ai sensi dell’art. 2304 c.c., alla pretesa del creditore il beneficio della preventiva escussione del patrimonio della società, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi.
L’estensione al socio dell’efficacia del titolo esecutivo conseguito contro la società
Il fatto che le società di persone manchino della personalità giuridica e che abbiano autonomia patrimoniale imperfetta ha costituito argomento per negare ai soci la posizione di terzi rispetto all’organismo sociale. L’affermazione secondo cui “dall’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio” configurerebbe in altri termini una dipendenza strutturale del socio rispetto a quella della società, con la conseguenza che le obbligazioni contratte in funzione del vincolo sociale sarebbero imputabili congiuntamente al socio e alla società. Il debito sorto con l’obbligazione costituirebbe debito proprio del socio, il quale ne risponderebbe in via diretta, sebbene sussidiariamente alla responsabilità della società.
Trattandosi di responsabilità diretta la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che il titolo esecutivo conseguito dal creditore a carico di una società di persone possa essere utilizzato anche contro i soci illimitatamente responsabili. In tal caso ricorrerebbe una situazione non diversa da quella che, ai sensi dell’art. 477 c.p.c., legittima il creditore a spendere il titolo esecutivo contro soggetti diversi rispetto alla persona contro cui il titolo medesimo è stato formato.
Il fenomeno è descritto con l’espressione latina ultra partes tituli e determina una scissione tra il titolo esecutivo in senso sostanziale, invero adottato nei confronti della società, e titolo esecutivo in senso processuale utilizzato per promuovere l’esecuzione contro altro debitore: il socio della società.
Seguendo tale prospettiva pertanto il lavoratore che fosse in possesso di un titolo esecutivo emesso a carico della società datrice di lavoro potrebbe instaurare un procedimento esecutivo anche nei confronti del socio, sebbene quest’ultimo non risulti menzionato nel titolo. Se poi il titolo esecutivo fosse costituito da una diffida accertativa verrebbe per tale via legittimata le sequenza procedimentale descritta nella circolare ministeriale n. 5 del 2011 e che, melius re perpensa, è stata esposta nel caso pratico de “L'Ispezione del lavoro”, “La diffida accertativa adottata in regime di responsabilità solidale”, del 21 giugno 2013 pubblicato in questa rivista.
Considerazioni critiche
Nel rinviare alle considerazioni in quell’occasione esposte occorre semmai evidenziare che l’orientamento che estende al socio l’efficacia del titolo esecutivo conseguito a carico della società di persone non appare pienamente convincente. Comunque l’assunto non sembra che possa assumere una valenza generale al punto da essere utilizzato anche nelle fattispecie previste dall’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit. e dall’art. 2112 comma 2 c.c. come sembra desumersi da una lettura sbrigativa della circolare n. 5 cit..
La non utilizzabilità del concetto di ultra partes tituli nel regime di solidarietà previsto in materia di appalto o di cessione di azienda
Infatti l’argomento che nega al socio la posizione di terzo rispetto alla società non è spendibile anche nei confronti dei soggetti che hanno concluso contratti di appalto o contratti di cessione d’azienda. È vero che tali relazioni negoziali comportano un regime di solidarietà passiva per crediti dei lavoratori, così come è vero che al committente dell’appalto, al pari del socio delle società di persone, viene accordato il beneficio della preventiva escussione. Tuttavia costituisce assunto altrettanto non confutabile quello per cui ciascuno dei predetti coobbligati è titolare di una propria soggettività giuridica e costituisce perciò autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici. In tale contesto la solidarietà non è altro che una sovrastruttura che riunisce una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro distinti ed autonomi e consente l’estinzione delle obbligazioni mediante un unico atto di adempimento. Ma ciò non toglie che il coobbligato che adempie alla prestazione è e resta titolare di una obbligazione propria rispetto alla quale gli altri coobbligati assumono la posizione di terzi. Se ciò è vero (e pare che non possa essere altrimenti) allora tornano valide le argomentazioni esposte nel caso pratico de “L'Ispezione del lavoro”, “La diffida accertativa adottata in regime di responsabilità solidale”, del 21 giugno 2013 e quindi che la diffida accertativa e il decreto direttoriale emessi nei confronti di uno solo dei debitori solidali ai sensi dell’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit. ovvero ai sensi dell’art. 2112 comma 2 c.c. non possono essere utilizzati anche contro gli altro condebitori in solido.
L’orientamento che esclude l’utilizzabilità del concetto di ultra partes tituli anche nella solidarietà passiva tra socio e società di persone
Peraltro proprio facendo leva sul concetto di soggettività giuridica, un altro orientamento, seppur minoritario, ma secondo gli scriventi giuridicamente più corretto, ha confutato in radice la prospettazione che vorrebbe estesa al socio l’efficacia del titolo esecutivo emesso contro la società.
Al riguardo è stato osservato che le società non dotate di personalità giuridica, come per l’appunto le società di persone, hanno comunque una propria e distinta soggettività giuridica e pertanto costituiscono, rispetto ai soci, un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali.
Il socio pertanto assumerebbe nei confronti della società la posizione di terzo.
La conseguenza di tale postulato sarebbe che le obbligazioni sociali rappresentano obbligazioni della società, a cui si aggiunge, a titolo di garanzia, la responsabilità sussidiaria dei soci. Quest’ultima pertanto dovrebbe essere considerata per quella che effettivamente è: responsabilità per debito altrui e cioè per debito della società. Logica conseguenza di tale premesse è che il titolo esecutivo ottenuto contro la società non potrebbe essere opposto al socio, perché titolare di un’obbligazione autonoma rispetto a quella per cui il titolo è stato emesso.
A ciò si aggiunga che l’estensione dell’efficacia del titolo esecutivo entrerebbe in insanabile contrasto con l’art. 1306 comma 1 c.c. e con l’art. 2909 c.c.. Sebbene l’argomento è stato già ampiamente illustrato nel caso pratico de “L'Ispezione del lavoro”, “La diffida accertativa adottata in regime di responsabilità solidale”, del 21 giugno 2013 appare utile ribadire che il socio che non abbia personalmente partecipato al giudizio svoltosi nei confronti della società non assume la qualità di parte del giudizio. Ne segue che i limiti soggettivi del giudicato precludono ogni possibilità di rendere opponibile al socio coobbligato in solido non convenuto la sentenza pronunciata all’esito del giudizio.
Da ultimo, ma non per ultimo, non pare neppure che l’assunto testé criticato possa essere giustificato mediante il ricorso all’analogia con la disposizione di cui all’art. 477 c.p.c. secondo il quale “il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi”.
In quest’ultima ipotesi, infatti, il titolo esecutivo viene ottenuto contro un soggetto che non esiste più nel momento in cui viene intrapreso il processo esecutivo. In altre parole fintanto che è in vita il debitore il giudizio non può che essere instaurato contro costui e giammai nei confronti degli eredi. Tuttavia quando il debitore viene a mancare è fisiologico riconoscere al creditore la possibilità di utilizzare il titolo esecutivo contro gli eredi del de cuius.
Tutt’altra situazione invece ricorre nell’ipotesi in cui al creditore viene conferita la facoltà di convenire in giudizio tutti i coobbligati in solido, ma per sua scelta decide di intraprendere il giudizio contro uno di essi. Ebbene in tale caso appare altrettanto logico e ragionevole ritenere che l’eventuale titolo esecutivo non possa che essere utilizzato nei confronti del coobbligato parte del giudizio e non già contro colui che è rimasto estraneo alla causa. Pertanto se il titolo esecutivo è stato ottenuto contro la società l’azione esecutiva potrà essere intrapresa solo contro quest’ultima e non anche contro il socio. Resterebbe comunque salva la facoltà del creditore di munirsi di uno specifico titolo contro il socio per escutere il patrimonio di costui nel caso in cui la società non fosse solvibile.
Se si traspongono le considerazioni appena espresse al tema della diffida accertativa si giunge ancora una volta a escludere che tale provvedimento, una volta validato dal direttore della DTL, possa essere utilizzato dal lavoratore contro soggetti differenti rispetto a quelli menzionati nel titolo; e ciò anche nell’ipotesi in cui questi ultimi siano soci di una società di persone intimata al pagamento all’esito del procedimento ispettivo. Sarebbe opportuno in tali ipotesi che l’accertamento del credito di lavoro venga sorretto da una duplice diffida accertativa: l’una diretta contro la società e l’altra contro il socio, sennonché tale soluzione non è stata seguita nel caso di specie.
Il caso concreto
Nei fatti risulta che Gamma S.n.c. ha eseguito lavori di ristrutturazione di una privata abitazione. Nel corso delle lavorazioni Gamma S.n.c. è rimasta in arretrato con il pagamento delle retribuzioni. I lavoratori hanno chiesto così l’intervento del personale ispettivo per conseguire i propri crediti. Gli ispettori all’esito del procedimento hanno adottato il provvedimento di diffida accertativa nei confronti di Gamma S.n.c.. Quest’ultima tuttavia non ha ottemperato al provvedimento e conseguentemente è stata intimata al pagamento mediante decreto direttoriale. Ebbene, i lavoratori, una volta conseguito il titolo esecutivo e venuti a conoscenza dell’insolvibilità di Gamma S.n.c., hanno deciso di intraprendere un’azione esecutiva contro i soci di quest’ultima, utilizzando la diffida accertativa adottata dal personale ispettivo contro la società datrice di lavoro. Tale decisione, se vagliata alla luce dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, che applica l’art. 477 c.p.c. alla responsabilità solidale del socio per debito della società di persone, appare plausibile e pienamente sostenibile in un eventuale giudizio di opposizione avverso il titolo esecutivo. Tuttavia a maggiore garanzie del credito dei lavoratori sarebbe stato opportuno che il personale ispettivo avesse adottato un’ulteriore diffida accertativa anche contro il socio, onde instaurare un legame diretto tra la responsabilità di costui e il titolo esecutivo e scongiurare in tale modo un’eventuale eccezione di inefficacia della diffida emessa contro la società datrice di lavoro.
NOTE
i Società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice.
ii Tant’è che non è previsto neppure l’obbligo di versare un capitale minimo per la costituzione.
iii Cass. civ. Sez. I, 21/02/2013, n. 4380; Trib. Bari Sez. VI, 24/05/2012.
iv Vari schemi, infatti, contemplano, a seconda dei casi, rispettivamente, un vero e proprio “beneficio d’escussione” oppure solamente il c.d. “beneficium ordinis”.
v Cass. civ. Sez. III, 24/03/2011, n. 6734; Cass. civ. Sez. I, 18/06/2009, n. 14165; Cass. civ. Sez. I, 16/01/2009, n. 1040; Cass. civ. Sez. I, 16/01/2009, n. 1040; Cass. civ. Sez. I, 06-11-2006, n. 23669; Cass. civ. Sez. III, 17-01-2003, n. 613; nella giurisprudenza di merito Trib. Milano Sez. V, 15/05/2012; Trib. Bologna Sez. IV Ord., 10/07/2008; Trib. Pavia Sez. I, 12/05/2008.
vi Segnatamente, in presenza di regime di solidarietà, il personale ispettivo dovrebbe notificare il provvedimento di diffida accertativa solamente alla società e non anche al socio. A quest’ultimo dovrebbe essere notificato invece il decreto direttoriale unitamente alla diffida emessi a carico della società.
vii Giova ribadire che secondo tale circolare la diffida accertativa e il decreto direttoriale emessi nei confronti di un coobbligato debbono essere notificati anche agli altri debitori in solido al fine di consentire al lavoratore la possibilità di intraprendere un’azione esecutiva anche contro costoro.
viii Cass. civ. Sez. II, 15-01-2003, n. 502; Cass. civ. Sez. III, 18/07/2002, n. 10427.
ix Cfr. in tale senso Cass. civ. Sez. I, 10-04-2003, n. 5664; Cass. civ. Sez. I, 20/04/1994, n. 3773.
x Cass. civ. Sez. I Sent., 12-12-2007, n. 26012.
xi Cass. civ. Sez. III, 08/11/2002, n. 15700; Cass. civ. Sez. I, 26/05/2005, n. 11220; in giurisprudenza di merito cfr. App. Campobasso, 25/10/2012; Trib. Nocera Inferiore Sez. lavoro, 21/09/2012; Trib. Padova Sez. II, 09/05/2012; Trib. Trento, 11/07/2011; App. Firenze Sez. II, 16/08/2010.
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