Alfa applica un contratto collettivo che prevede una clausola di contingentamento per la stipula dei contratti a termine in misura del 15% sul totale dei lavoratori a tempo indeterminato. Cessato il periodo di vigenza del contratto, Alfa chiede all’ispettore di turno se trovi applicazione il superiore limite del 20% previsto dal Jobs Act e quale sia l’entità della sanzione amministrativa irrogabile dal personale ispettivo per l’eventuale violazione della clausola di contingentamento. Quale risposta è prevedibile attendersi dall’ispettore?
Premessa
A una prima lettura pare che il c.d. Jobs Act (D.L. n. 34/2014 conv. con mod. in L. n. 78/2014) non sia stato scritto in “punta di penna”. Nel testo sembra che si annidino ambiguità terminologiche, che assegnano all’interprete il compito di fugare eventuali incertezze al fine di orientare con maggiore convinzione la condotta dei consociati. Il riferimento riguarda ancora le clausole di contingentamento e il regime sanzionatorio.
Invero, il principio di irretroattività della legge stabilito dall’art. 11 disposizioni preliminari del c.c. comporta che la nuova legge non possa essere applicata sia ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore sia a quelli sorti anteriormente ancora in essere, laddove in quest’ultima ipotesi la nuova regolamentazione vada a incidere sugli effetti già verificatisi sul fatto passato o tolga efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future del fatto medesimo.In sintesi ciò significa che i contratti a termine conclusi antecedentemente all’entrata in vigore del Jobs Act, in quanto aventi ad oggetto fatti passati, continuano ad essere regolamentati secondo la disciplina vigente all’atto di instaurazione del rapporto.
La non ultrattività dei CCNL
Tale prospettiva sarebbe confermata dall’art. 2 bis del c.d. Jobs Act per cui “in sede di prima applicazione” della disciplina relativa al limite percentuale del 20% “conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro”. L’inciso “in sede di prima applicazione” pare che debba essere letto nel senso che le disposizioni di cui al D.L. n. 34 cit. sono tuttora applicabili se manchi la contrattazione collettiva ovvero laddove quest’ultima, se pur presente, rimetta alla fonte di legge la disciplina delle clausole di contingentamento. Sicché si può arguire che:
i contratti a termine conclusi antecedentemente all’entrata in vigore del Jobs Act restano disciplinati dalla normativa collettiva vigente all’atto di stipula dell’accordo;
laddove il contratto collettivo scada e non venga rinnovato, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, non si può invocare l’operatività del CCNL oltre l’ambito temporale concordato dalle parti, a meno che non ricorra un’espressa previsione negoziale (precedente o anche successiva alla scadenza) che sancisca l’ultrattività del CCNL o comunque venga appurato un comportamento fattuale delle parti volto a proseguire l’applicazione delle norme precedenti. In difetto di tali circostanze, durante il periodo di vacanza contrattuale, il rapporto di lavoro resta disciplinato dalle norme di legge e quindi trova applicazione la soglia percentuale del 20%;
ove invece il contratto collettivo venga rinnovato si possono prefigurare due ipotesi:
la soglia di contingentamento viene regolamentata in maniera uguale o differente a quella normativa. In tal caso nulla quaestio poiché, per il carattere residuale dell’art. 2 bis del D.L. n. 34 cit., la disciplina collettiva prevale comunque su quella normativa.
Il contratto collettivo taccia sui limiti di contingentamento.
Siffatta evenienza può essere letta come assenza di disciplina collettiva con conseguente applicazione della soglia normativa del 20%.
Tuttavia tale silenzio può altresì essere interpretato anche come volontà delle parti sociali di non prevedere alcun limite di sbarramento alla stipula dei contratti a termine. Così argomentando si potrebbe sostenere che specifici limiti alla conclusione di specifici contratti risulterebbero regolamentati con espresse disposizioni (cfr. limiti alla stipula dei contratti di somministrazione) la cui mancanza al contrario lascerebbe desumere una libertà di addivenire alla conclusione di quel tipo di contratti. In sintesi la soluzione più propensa al caso concerto dipende un’analisi complessiva del testo contrattuale.
Il regime sanzionatorio
Veniamo ora a un altro aspetto che presenta una soluzione non agevole: le modalità di applicazione della sanzione di cui all’art. 5 comma 4 septies del D.lgs. n. 368 cit. nell’ipotesi in cui si accerti l’avvenuto superamento del limite di contingentamento.
Premessa la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato ci si chiede se, rilevato l’illecito in corso di rapporto, il personale ispettivo debba irrogare la sanzione prendendo a parametro la complessiva durata del rapporto a termine, ovvero unicamente il lasso di tempo di avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa, omettendo pertanto di conteggiare il periodo intercorrente tra la data di rilevamento dell’illecito e la data di conclusione del contratto a termine.
Applicazione della sanzione per la durata effettiva della prestazione
Se si valorizza il principio di materialità dell’illecito appare preferibile la seconda soluzione. A tal fine sembrerebbe corretto conteggiare solo l’arco temporale in cui la prestazione lavorativa è stata di fatto eseguita e non anche quello futuro in cui la prestazione non è stata resa. Si consideri altresì che le parti potrebbero recedere anticipatamente dal rapporto con la conseguenza che in tal caso al datore di lavoro verrebbe applicata una sanzione per un periodo solo astrattamente compreso nel termine di durata del rapporto ma che in concreto non risulterebbe lavorato dal prestatore di lavoro.
Applicazione della sanzione per la durata astratta del rapporto di lavoro
Tuttavia il dato letterale della norma, che utilizza il lemma “durata del rapporto di lavoro”, e che nel sistema di cui alla L. n. 689/81 assume una valenza non esclusiva, ma senz’altro primaria, sembra propendere per una soluzione che consideri l’entità temporale come unità complessiva da valutare ai fini della sanzione. In linea con tale prospettazione sarebbe proprio il principio di unitarietà dell’illecito che diversamente opinando verrebbe frazionato in almeno due tranche: la prima oggetto di sanzione immediata, la seconda suscettibile di sanzione futura irrogabile in un secondo momento e cioè all’avvenuto spirare del termine contrattuale.
Gli scriventi, pur consapevoli della plausibilità di entrambe le soluzioni e in assenza di indicazioni ministeriali, ritengono che la prima soluzione sia più aderente al principio di effettività che conforma la materia lavoristica e il regime sanzionatorio di cui alla L. n. 689 cit.. D’altronde, utilizzando proprio il dato letterale, potrebbe porsi l’accento sulla locuzione “durata” per valorizzare ciò che concretamente “è stato” fino all’intervento del personale ispettivo, prescindendo da quello che invece sarà. Resta ben inteso che ove gli accertamenti ispettivi si protraggano ulteriormente rispetto alla data di rilevamento dell’illecito e si concludano in un momento successivo allo spirare del termine apposto al contratto, appare verosimile che gli ispettori valutino con prognosi postuma la durata complessiva del rapporto e irroghino di conseguenza la sanzione di cui all’art. 5 comma 4 septies per tutto il periodo di effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.
i Cass. civ. Sez. I, 03/07/2013, n. 16620.
ii Cass. civ. Sez. Unite, 30-05-2005, n. 11325; Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 09/05/2008, n. 11602; Cass. civ. Sez. lavoro, 02-02-2009, n. 2590; Cass. civ. Sez. lavoro, 07/10/2010, n. 20784.
iii Recita la norma “in caso di violazione del limite percentuale di cui all’articolo 1, comma 1, per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:
pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
pari al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno”.
iv Cfr. i casi pratici de "L'Ispezione del Lavoro" del 12 ottobre 2012, "Il primo contratto a termine non rientra nei limiti di contingentamento", e del 27/06/2014, "Contratto a termine e limiti di contingentamento tra apprendisti e sanzioni".
v Cass. pen. Sez. III, 24/05/2006; Cass. civ. Sez. I, 16-05-2005, n. 10209; Cass. pen. Sez. I, 27/10/1994.
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