Come specificato nel comunicato stampa del 26 settembre 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo del 4 marzo 2015, n. 23 (G.U. n. 54 del 6 marzo 2015) nella parte in cui, nel disciplinare il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
In particolare, come si vedrà nel presente contributo, secondo la Consulta la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.
Come anticipato nel comunicato stampa (la sentenza sarà depositata nelle prossime settimane) e come pocanzi accennato, per la Corte Costituzionale, agli effetti della quantificazione dell’indennità di licenziamento nei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti é da considerarsi illegittimo il calcolo basato esclusivamente sull’anzianità di servizio del lavoratore.
Nello specifico, la Corte ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015, relativo al contratto di lavoro a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore licenziato ingiustificatamente.
In proposito, si precisa che, come si vedrà nel paragrafo seguente, lo stesso articolo è stato recentemente novellato dal c.d. “Decreto Dignità” (decreto legge del 12 luglio 2018, n. 87, G.U. n. 161 del 13 luglio 2018 – convertito nella legge del 9 agosto 2018, n. 96, G.U. n. 186 dell’11 agosto 2018), che ne ha aumentato gli importi minimi e massimi senza intaccare, tuttavia, l’impianto originale della disciplina dei licenziamenti illegittimi.
In buona sostanza, come si evince dal comunicato stampa, la Consulta non contesta l’adozione del regime di tutela economica in caso di licenziamenti illegittimi promosso con il contratto a tutele crescenti, in sostituzione alla tutela reale per alcune casististiche, bensì il criterio di calcolo del risarcimento, basato esclusivamente sull'anzianità di servizio del lavoratore.
La motivazione addotta dai supremi giudici è, appunto, che tale criterio contrasta con i principi di ragionevolezza e uguaglianza e con il diritto al lavoro sanciti dagli art. 4 e 35 della Costituzione.
Incostituzionalità dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 per violazione dei principi contenuti negli artt. 4 e 35 della Costituzione come di seguito elencati |
Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. |
Art. 35 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. |
Al fine di comprendere la portata del comunicato stampa della Corte Costizionale, è utile riepilogare il regime di tutele attualmente in vigore, che scatta in caso di licenziamento illegittimo.
In primo luogo, il d.lgs. n. 23 entrato in vigore il 7 marzo 2015, disciplinante il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, non introduce una nuova tipologia contrattuale, piuttosto un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo, destinato a sostituire la disciplina prevista dall’art. 18 della legge del 20 maggio 1970, n. 300, G.U. n. 131 del 27 maggio 1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori), per i soli lavoratori che verranno assunti a tempo indeterminato, come operai, impiegati e quadri, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Segnatamente, la nuova disciplina restringe le ipotesi di reintegra del lavoratore, individuando nel pagamento di un’indennità risarcitoria la sanzione principale applicabile in caso di licenziamento illegittimo.
Ed infatti, l’espressione “tutele crescenti” fa riferimento in special modo alle modalità di calcolo di detta indennità, il cui ammontare è parametrato all’anzianità di servizio maturata dal dipendente al momento del congedo.
In particolare, a seguito della riforma, il datore di lavoro è obbligato a reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato nei soli casi di:
licenziamento discriminatorio;
licenziamento nullo per espressa previsione di legge;
licenziamento inefficace perché intimato in forma orale;
licenziamento rispetto al quale il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore;
licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa rispetto al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.
In buona sostanza, nelle ipotesi sopra elencate (licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore), il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità ovvero l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro, oltre alla reintegrazione del lavoratore, anche al pagamento di un’indennità a favore di quest’ultimo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
NB! In caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore occupato presso un datore di lavoro che non supera la soglia dei 15 dipendenti, la reintegrazione varrà solo nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore. Negli altri casi, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un indennizzo economico. |
Fuori delle suddette ipotesi, in tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità economica, il cui ammontare dipende dall’azianità di servizio del dipendente (due mensilità per ogni anno di servizio).
In proposito, precentemente l’indennità non poteva essere inferiore a 4 mensilità, né potrà superare le 24 mensilità.
A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 96/2018, tale indennità economica risulta più elevata.
In particolare, al verificarsi delle casistiche sopra richiamate, l’indennità non potrà essere inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.
NB! In casi analoghi ai sopra descritti, per le piccole imprese fino a 15 dipendenti, il Jobs Act prevedeva il pagamento di un’indennità risarcitoria, non soggetta a contribuzione e pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, comunque non inferiore a 2 e non superiore a 6 mensilità. Il Decreto Dignità ha innalzato l’ammontare minimo a 3 mensilità, mentre lascia invariato il tetto massimo. |
QUADRO NORMATIVO Legge n. 300 del 20 maggio 1970 Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015 Decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018 Corte Costituzionale - Comunicato stampa del 26 settembre 2018 |
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