In Gazzetta Ue la nuova direttiva europea sul whistleblowing

Pubblicato il 05 dicembre 2019

Lo scorso 23 ottobre il Consiglio Europeo ha dato il via libera definitivo alla direttiva europea in materia di whistleblowing (direttiva UE 2019/1937, pubblicata nella G.U.U.E. del 26 novembre 2019), al fine di uniformare la disciplina all’interno dell’Unione, individuando alcuni standard minimi e imponendo agli Stati membri di adottare una normativa specifica entro i prossimi due anni, visto che, ad oggi, solo Italia, Francia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Malta, Olanda, Slovacchia, Svezia e Regno Unito, prevedono una regolamentazione che tutela gli informatori di fatti illeciti sui luoghi di lavoro.

Nel nostro ordinamento, come si vedrà, la normativa di riferimento è costituita dalla legge n. 179 del 30 novembre 2017 (G.U. n. 291 del 14 dicembre 2017), incentrata prevalentemente sulle misure di tutela da garantire al soggetto che segnala i reati che vengono commessi nell’ambito del contesto di lavoro. 

 

Il contenuto della direttiva

Dal testo della direttiva, emergono le seguenti novità, che andranno recepite dagli Stati membri:

Ove sussistano i presupposti, dovranno essere fornite le seguenti misure di protezione:

 

NB! Per quanto riguarda i settori interessati dall’intervento si citano:

a) le violazioni di normative europee afferenti i settori degli appalti pubblici, dei servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, della sicurezza dei prodotti, della sicurezza dei trasporti, della tutela dell’ambiente, della radioprotezione e sicurezza nucleare, della sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali, della salute pubblica, della protezione dei consumatori, della tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;

b) le attività che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (es. i casi di evasione IVA);

c) le violazioni riguardanti il mercato interno, comprese quelle afferenti la concorrenza e gli aiuti di Stato, nonché connesse a costruzioni il cui fine è ottenere un vantaggio fiscale.

Ad ogni modo, la direttiva precisa inoltre che questo intervento “non pregiudica agli Stati membri la possibilità di estenderne la portata ad altri settori del diritto nazionale”.

 

I soggetti interessati dalle misure di tutela

L’ambito di applicazione della direttiva in commento risulterà piuttosto ampio, in quanto le disposizioni andranno applicate nei confronti di tutte le persone che lavorano nel settore pubblico o privato che hanno acquisito informazioni sulle violazioni nel contesto lavorativo.

In più, va segnalato che rientrano nel raggio di protezione non solo il lavoratore subordinato, ma anche i lavoratori autonomi, gli amministratori, con o senza incarichi esecutivi, volontari, tirocinanti non retribuiti, consulenti, fornitori, subappaltatori, azionisti o membri dell’organo direttivo di un’impresa, fermo restando che anche gli ex impiegati, i non ancora assunti, i rappresentanti sindacali dei lavoratori e le persone giuridiche possono effettuare segnalazioni beneficiando della stessa protezione.

Da ultimo, è stabilito che dovranno poter usufruire della protezione anche i terzi connessi a persone segnalanti che possono subire ritorsioni in un contesto lavorativo (colleghi/parenti del segnalante) e persone giuridiche di cui le persone segnalanti sono proprietarie o ove lavorano o a cui sono altrimenti connesse in un contesto lavorativo.

 

Whistleblowing in Italia: la normativa

Come anticipato, la direttiva mira a responsabilizzare tutti gli Stati membri e fare in modo che, attraverso tutele e garanzie per i whistleblower, vi sia un maggiore ricorso a tale strumento per favorire la preventiva identificazione di fenomeni illeciti.

Per tale ragione, la legge n. 179 del 30 novembre 2017, ha introdotto specifiche e puntuali forme di tutela per un lavoratore che segnala spontaneamente gli illeciti di cui è venuto a conoscenza sul posto di lavoro, nell’amministrazione pubblica o in aziende private.

In particolare, i lavoratori che effettuano correttamente la segnalazione non potranno:

Dall’insieme di misure protettive appena elencate, emerge che la tutela più forte è la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento subìto a seguito della segnalazione.

In particolare, la disciplina prevede che il dipendente sia reintegrato nel posto di lavoro in caso di licenziamento e che siano nulli tutti gli atti discriminatori o ritorsivi (tra cui un eventuale demansionamento o trasferimento), precisando che l’onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione, è a carico dell’amministrazione (o del datore di lavoro privato, a seconda dei casi).

Sempre a sua tutela, non può, per nessun motivo, essere rivelata l’identità del dipendente che segnala atti discriminatori e, nell’ambito dell’eventuale procedimento penale attivato, la segnalazione sarà coperta nei modi e nei termini di cui all’art. 329 del codice di procedura penale (l’identità non può essere rivelata neppure in caso di attivazione di un procedimento disciplinare).

 

NB! I meccanismi di tutela sopra descritti non scattano qualora il dipendente che denuncia atti discriminatori a seguito della segnalazione venga condannato in sede penale (anche in primo grado) per calunnia, diffamazione o altri reati commessi con la denuncia o quando sia accertata la sua responsabilità civile per dolo o colpa grave.

 

 

QUADRO NORMATIVO

Legge n. 179 del 30 novembre 2017

Parlamento Europeo e Consiglio Europeo - Direttiva (UE) 2019/1937 del 23 ottobre 2019

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