Il lavoro intermittente

Pubblicato il 24 luglio 2014 Il lavoro intermittente Il contratto di lavoro intermittente (detto anche “lavoro a chiamata” o “job on call”) è disciplinato dagli artt. 33 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003, ed è un contratto mediante il quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa rispettando i limiti imposti dal legislatore.

La discontinuità e l’intermittenza

La caratteristica del lavoro intermittente è che lo stesso può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, e, come chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel Vademecum sulla Riforma Lavoro Legge n. 92/2012 (lettera circolare prot. n 7258 del 22 aprile 2013), poiché il dato normativo non declina in alcun modo la nozione di discontinuità ed intermittenza, è ammissibile la stipula di un contratto c.d “a chiamata” anche nel caso in cui la prestazione sia resa per periodi di durata significativa.

Naturalmente non deve esserci esatta coincidenza tra la durata della prestazione svolta ed il contratto di lavoro, altrimenti verrebbero a mancare i presupposti della discontinuità o intermittenza.

Proprio la discontinuità della prestazione rende l’utilizzo di questa tipologia contrattuale particolarmente adeguata per far fronte a picchi di lavoro in determinati periodi o per effettuare sostituzioni, anche improvvise, di prestatori di lavoro, in particolari settori come il turismo ed il commercio nel periodo estivo.

I limiti oggettivi e soggettivi

I contratti di lavoro intermittenti possono essere stipulati:

- secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In merito il Ministero del Lavoro, con circolare n. 18 del 18 luglio 2012, ha chiarito che è rimessa alla contrattazione collettiva sia l’individuazione delle “esigenze”, sia di “periodi predeterminati” che giustificano il ricorso all’istituto. Inoltre, nel già citato “Vademecum” è stato specificato che l’individuazione da parte della contrattazione collettiva nazionale o territoriale di periodi predeterminati deve necessariamente riferirsi ad un periodo predeterminato all’interno del contenitore/anno (non è quindi possibile prevedere che il periodo predeterminato sia riferito all’intero anno);

- in ogni caso, con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età;

- per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Fanno eccezione a questa previsione i contratti a chiamata instaurati nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. Il conteggio delle prestazioni deve essere effettuato a partire dal giorno in cui si chiede la prestazione, a ritroso di tre anni, e, comunque, si deve tenere conto solo delle giornate di effettivo lavoro prestate successivamente al 28 giugno 2013 (Ministero del Lavoro, circolare n. 35 del 29 agosto 2013);

- in assenza di contrattazione collettiva, per lo svolgimento delle attività discontinue di cui al D.M. 23 ottobre 2004 che rinvia alla tabella approvata con RDL n. 2657/1923 (Ministero del Lavoro, circolare n. 18/2012).

La comunicazione preventiva

Ai sensi dell’art. 35, D.Lgs. n. 276/2003, il datore di lavoro è tenuto a comunicare, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, la durata della prestazione stessa.

I trenta giorni del ciclo integrato, possono essere considerati quali giorni di chiamata di ciascun lavoratore e non come arco temporale massimo all’interno del quale individuare i periodi di attività dello stesso; possono, quindi, essere effettuate comunicazioni che prendano in considerazione archi temporali anche molto ampi purché, all’interno degli stessi, i periodi di prestazione non superino i 30 giorni per ciascun lavoratore (Ministero del Lavoro, circolare n. 20 dell’1 agosto 2012).

La comunicazione va effettuata con modalità semplificate:

- compilando on line il modello “Uni-Intermittente” disponibile sul portale Cliclavoro;

- via email inviando il modello all’indirizzo PEC appositamente creato (intermittenti@mailcert.lavoro.gov.it);

- inviando un sms al numero 3399942256, contenente almeno il codice fiscale del lavoratore, in caso di prestazioni da rendersi non oltre le 12 ore dalla comunicazione. Tale modalità è consentita solo alle aziende registrate al portale Cliclavoro ed abilitate;

- via fax alla Direzione Territoriale del Lavoro competente, ma solo per malfunzionamento dei sistemi di trasmissione informativi. In tal caso il datore di lavoro deve conservare la copia del fax unitamente alla ricevuta di malfunzionamento rilasciata dal servizio informatico, come prova dell’adempimento dell’obbligo.

In caso di mancato invio della comunicazione preventiva, il datore di lavoro è soggetto alla sanzione amministrativa che va da euro 400 ad euro 2.400, in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.

La sanzione trova applicazione con riferimento ad ogni lavoratore e non invece per ciascuna giornata di lavoro per la quale risulti inadempiuto l’obbligo comunicazionale per cui, per ogni ciclo di 30 giornate che individuino la condotta del trasgressore, trova applicazione una sola sanzione per ciascun lavoratore.

Al caso di specie non si applica la diffida obbligatoria di cui all'articolo 13, D.Lgs. n. 124 del 23 aprile 2004.

Le comunicazioni possono essere annullate e l’annullamento può essere effettuato esclusivamente tramite e-mail da indirizzare all’indirizzo PEC dedicato oppure riprendendo il modello on line precedentemente inviato, avendo cura di selezionare le prestazioni già comunicate da annullare nonché il tasto “annullamento”.

L’annullamento deve essere effettuato, qualora il lavoratore non si presenti, entro le 48 ore successive al giorno in cui la prestazione doveva essere resa.

L’indennità di disponibilità

Il contratto di lavoro intermittente può essere di due tipologie:

- senza obbligo di risposta alla chiamata del datore di lavoro;

- con obbligo di risposta alla chiamata.

Nel secondo caso il lavoratore è obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro ed ha diritto alla c.d. “indennità di disponibilità” mensile che è assoggetta a contribuzione per l’effettivo ammontare, in deroga alla normativa sul minimale contributivo.

Se il lavoratore a chiamata che percepisce l’indennità di disponibilità non risponde alla chiamata senza giustificato motivo, il datore di lavoro può:

- risolvere il contratto;

- chiedere la restituzione della quota di indennità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto;

- chiedere un congruo risarcimento del danno nella misura stabilita dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro.

Norme e prassi 

RDL n. 2657/1923

Artt. 33 e seguenti, D.Lgs. n. 276/2003

Articolo 13, D.Lgs. n. 124 del 23 aprile 2004

D.M. 23 ottobre 2004

Legge n. 92/2012

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 18 del 18 luglio 2012

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 20 dell’1 agosto 2012

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, lettera circolare prot. n 7258 del 22 aprile 2013

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 35 del 29 agosto 2013
 
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