Il giudice deve rimanere terzo: non può mutare la contestazione iniziale

Pubblicato il 30 marzo 2011 La Cassazione, con sentenza n. 7158 depositata il 29 marzo 2011, interviene su un ricorso presentato da un ristoratore per un vizio di motivazione nella sentenza di secondo grado che dichiarava legittimo l’accertamento induttivo del Fisco basato sul consumo di caffè, ossia sul numero di tazzine utilizzate.

La circostanza vedeva il Fisco accusare il ristoratore di aver dichiarato un minor numero di coperti rispetto al consumo di caffè. Tuttavia, la Cassazione fa notare che l’Ufficio non aveva considerato che le copie delle ricevute esibite riportavano prezzi medi piuttosto bassi.

Di più. Nella sentenza della Ctr si stabiliva che il rilevato errore nella conta dei pasti, in base alle tazzine, era stato compensato dal mancato computo nell’accertamento dell’omessa fatturazione di alimenti per la ristorazione.

In merito, la Suprema corte, ribadendo la terzietà del giudice, spiega che motivi e circostanze di un atto di accertamento non possono essere modificati in giudizio. Il giudice non può cambiare i termini della contestazione: “la motivazione dei giudici della commissione tributaria regionale del Lazio tace sul prezzo medio dei pasti e dall'errore aritmetico ammesso non trae le conseguenze in tema di ricavi, opponendo dei fatti dei quali non è stato tenuto conto nell'atto di accertamento ai fini di calcolo dei ricavi stessi”. In sostanza, la Ctr opponeva fatti di cui non si era tenuto conto nell’accertamento iniziale ai fini della quantificazione dei ricavi, violando il principio della non mutabilità della contestazione.
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