Il Fisco può far dichiarare la nullità dei contratti

Pubblicato il 09 giugno 2008 A partire dal 2005 la Corte di cassazione ha invertito il precedente consolidato orientamento in materia di “contratto in frode alla legge”, così come disciplinato dall’articolo 1344 del Codice civile, dettando nuove regole di comportamento. Se fino a quella data, infatti, la giurisprudenza aveva ritenuto inapplicabile alla materia fiscale l’articolo 1344 C.C., ritenendo che gli effetti civilistici del negozio fossero esterni al giudizio tributario, da quel momento in poi si ritiene, invece, che il negozio o i negozi attraverso cui si realizzano le operazioni contestate come “elusive” si debbano considerare nulli e, quindi, improduttivi di effetti non solo dal punto di vista civilistico ma anche tributario. In altri termini, non è stato più possibile ritenere che gli effetti civilistici dei negozi fossero considerati esterni al giudizio tributario, divenendo così essi stessi inopponibili di fronte all’Amministrazione finanziaria. A seguito di ciò l’Amministrazione finanziaria è stata riconosciuta – in seno a molte pronunce – come terzo soggetto interessato alla regolare applicazione delle imposte sia in fase di accertamento fiscale che successivamente in sede di contenzioso. È stata, cioè, riconosciuta all’Amministrazione la legittimazione a dedurre la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente o la loro nullità per “abuso del diritto”, cioè per abusiva utilizzazione di norme comunitarie per scopi impropri. L’immanenza del divieto di abuso del diritto è infatti consolidata nel diritto comunitario. Pertanto, la Cassazione ha fatto esplicito richiamo a molte sentenze della Corte di giustizia Ue, nelle quali è stato affermato che i contribuenti non possono avvalersi abusivamente delle norme comunitarie in virtù del cosiddetto “abuso del diritto comunitario”. Tale clausola generale antiabuso, però, a detta della Cassazione, non è stata ancora esplicitamente adattata all’intero campo dell’imposizione fiscale. Secondo i giudici Supremi, infatti, l’esistenza di questo principio svolgerebbe un innegabile effetto di irraggiamento sull’intero sistema impositivo, anche per le imposte dirette, le quali, pur ricadendo nella competenza degli Stati membri, sono comunque soggette ai principi fondamentali dell’ordinamento comunitario.
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