I sindaci di società possono essere responsabili per l'illecito perpetrato dagli amministratori anche se sono stati tenuti all'oscuro. Deve essere considerato, infatti, il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato.
Non rileva neanche il fatto che i sindaci abbiano assunto la carica dopo l'effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi.
Così decide la Cassazione, nella sentenza n. 18770 del 12 luglio 2019, cassando la sentenza d’appello contro cui ha proposto ricorso la curatela fallimentare.
Il sindaco può assumere, spiega la Corte, esercitando i poteri-doveri della carica, iniziative utili ad evitare gli illeciti, come la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima ed ogni altra attività possibile ed utile.
Dunque, “ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi - secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale - se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica”.
La dedotta circostanza di essere stati tenuti all'oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l'effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, non basta ad esonerare da responsabilità i sindaci.
Ad essi è imputabile un comportamento inerte, poiché non hanno vigilato adeguatamente sulla condotta “lecita gestoria” contraria alla corretta gestione dell'impresa.
Assunto l'incarico, inoltre, avrebbero dovuto verificare la situazione e porvi rimedio: “l'attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori”.
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