Contratto a tutele crescenti. Cosa cambia col Decreto Dignità?

Pubblicato il 06 settembre 2018

Il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti ha subìto modifiche a seguito dell’entrata in vigore della legge del 9 agosto 2018, n. 96 (G.U. n. 186 dell’11 agosto 2018), di conversione – con modificazioni – del c.d. “Decreto Dignità” (decreto legge del 12 luglio 2018, n. 87 , G.U. n. 161 del 13 luglio 2018).

In particolare, le modifiche hanno interessato i valori (minimo e massimo) dei risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo, ed i valori (minimo e massimo) di una eventuale offerta conciliativa effettuata dal datore di lavoro al termine del rapporto di lavoro conclusosi con un licenziamento.

Esaminiamo, allora, le variazioni apportate al decreto legislativo del 4 marzo 2015 n. 23 (G.U. n. 54 del 6 marzo 2015), che ha introdotto e disciplinato la fattispecie del contratto a tutele crescenti nonchè una nuova procedura per l’offerta di conciliazione.

Il contratto a tutele crescenti

Come anticipato, il 7 marzo 2015 è entrato in vigore il d.lgs. n. 23/2015, attuativo del c.d. “Jobs Act”, disciplinante il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Il decreto in parola non introduce una nuova tipologia contrattuale, bensì un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo, destinato a sostituire la disciplina prevista dall’art. 18 della legge del 20 maggio 1970, n. 300 di cui alla G.U. n. 131 del 27 maggio 1970 (c.d. “Statuto dei Lavoratori”), per i soli lavoratori che verranno assunti a tempo indeterminato, come operai, impiegati e quadri, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (7 aprile 2015).

Segnatamente, la nuova disciplina restringe le ipotesi di reintegra del lavoratore, individuando nel pagamento di un’indennità risarcitoria la sanzione principale applicabile in caso di licenziamento illegittimo.

Ed infatti, l’espressione “tutele crescenti” fa in particolare riferimento alle modalità di calcolo di detta indennità, il cui ammontare è parametrato all’anzianità di servizio maturata dal dipendente al momento del licenziamento.

In particolare, a seguito della riforma il datore di lavoro è obbligato a reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato nei soli casi di:

In buona sostanza, nelle ipotesi sopra elencate (licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore), il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità ovvero l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro, oltre alla reintegrazione del lavoratore, anche al pagamento di un’indennità a favore di quest’ultimo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

NB! In caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore occupato presso un datore di lavoro che non supera la soglia dei 15 dipendenti, la reintegrazione varrà solo nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.

Negli altri casi, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un indennizzo economico.

 

Le ipotesi in cui al lavoratore spetta il solo indennizzo economico

Fuori delle suddette ipotesi, in tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità economica, il cui ammontare dipende dall’azianità di servizio del dipendente (due mensilità per ogni anno di servizio).

In proposito, precentemente l’indennità non poteva essere inferiore a 4 mensilità, né poteva superare le 24 mensilità.

A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 96/2018, tale indennità economica risulta più elevata.

In particolare, al verificarsi delle casistiche sopra richiamate, l’indennità non potrà essere inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

 

NB! Il medesimo regime sanzionatorio trova applicazione anche nei casi di licenziamento collettivo illegittimo per violazione della procedura prescritta dalla legge o per violazione dei criteri di scelta.

Ulteriormente, al lavoratore spetta un mero indennizzo economico anche nell’ipotesi di licenziamento illegittimo per violazione del requisito della motivazione o per violazione della procedura prescritta dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

In questi casi, fermi restando i limiti di cui sopra, tuttavia l’indennità risulta dimezzata.

 

A chi si applica la nuova disciplina sul contratto a tutele crescenti?  

Come segnalato, nei confronti dei lavoratori già assunti prima del 7 marzo 2015, presso strutture in cui operano 15 dipendenti nell’unità produttiva (5 se si tratta di imprenditori agricoli o 60 nell’intera impresa), continuerà a trovare applicazione il regime sanzionatorio previsto dall’art. 18 della l. n. 300/1970.

Di conseguenza, relativamente alle piccole imprese il decreto prevede che, nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore di detto decreto, raggiunga le soglie dimensionali previste dall’art. 18, a tutti i lavoratori (vecchi e nuovi assunti) si applicherà integralmente la disciplina del contratto a tutele crescenti, e il relativo regime sanzionatorio previsto in caso di licenziamento ingiusto.

Si precisa, inoltre, che la nuova disciplina verrà applicata anche nei casi di conversione in contratto a tempo indeterminato, successiva all'entrata in vigore del decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato.

Infine, del nuovo regime di tutela introdotto dal decreto sul contratto a tutele crescenti potranno avvalersi anche i lavoratori delle organizzazioni di tendenza, vale a dire i dipendenti dei “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto”.

 

NB! Dalla nuova disciplina sul licenziamento illegittimo sono esclusi i dirigenti.

 

 

Le novità in materia di offerta di conciliazione

Il decreto legislativo n. 23/2015 ha introdotto una nuova procedura conciliativa, finalizzata a rendere più rapida la definizione del contenzioso sul licenziamento, attraverso l’immediato pagamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro.

In particolare, l’art. 6 del decreto stabilisce che, in caso di licenziamento, il datore di lavoro, al fine di evitare il giudizio, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), può convocare il lavoratore presso una delle sedi conciliative previste e riconosciute dalla legge e offrirgli un assegno circolare di importo pari a una mensilità per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a tre e non superiore a ventisette mensilità (la precedente disciplina prevedeva un importo non inferiore a 2 mensilità e non superiore a 18 mensilità).

 

NB! Per incentivare questo tipo di soluzione, il legislatore ha previsto che detto indennizzo non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.

L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

 

RIEPILOGO DELLE NOVITA’ INTRODOTTE DALLA LEGGE N. 96/2018, DI CONVERSIONE DEL DECRETO DIGNITA’

 

D. lgs n. 23/2015 originario

D. lgs n. 23/2015 modificato con l. n. 96/2018

Indennità di licenziamento di importo compreso tra le 4 mensilità e le 24 mensilità

 

Indennità di licenziamento di importo compreso tra le 6 e le 36 mensilità

Assegno circolare per avvenuta conciliazione di importo non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità

Assegno circolare per avvenuta conciliazione di importo non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità

 

 

QUADRO NORMATIVO

Legge n. 300 del 20 maggio 1970

Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015

Decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018

Legge n. 96 del 9 agosto 2018

 

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