Dalla Cassazione giungono precisazioni in ordine ai rapporti fra contestazione disciplinare a carico del lavoratore ed eventuale sentenza penale di assoluzione per gli stessi fatti oggetto di addebito.
In proposito, la Suprema corte ha richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità: la contestazione disciplinare non è assimilabile alla formulazione dell'accusa nel processo penale ma assolve esclusivamente alla funzione di consentire all'incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.
Essa, quindi, va valutata in modo autonomo rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale.
Qualora, quindi, il lavoratore sia stato assolto con sentenza dibattimentale dichiarata irrevocabile, i fatti accertati, ancorché non decisivi ai fini delle responsabilità penale, possono conservare rilevanza ai fini del rapporto di lavoro.
Non rimane, ossia, preclusa, per effetto dell'assoluzione, la cognizione della domanda da parte del giudice civile.
In tale contesto, il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato.
Questo, tuttavia, non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato, vale a dire quando l'assoluzione sia stata pronunciata a norma dell'art. 530, comma secondo, c.p.p.
I predetti assunti sono stati richiamati dalla Sezione lavoro della Cassazione nel testo dell'ordinanza n. 2871 del 31 gennaio 2022, pronunciata in rigetto del ricorso promosso da un lavoratore.
Quest'ultimo si era opposto alla decisione confermativa del licenziamento per giusta causa intimatogli dal datore di lavoro in conseguenza dell'addebito consistente nella manomissione di un contatore e nell'abusivo allaccio alla rete elettrica della società datrice. Per gli stessi fatti, il dipendente era stato coinvolto in un processo penale per furto, conclusosi con una sentenza di assoluzione.
Il lavoratore, in particolare, si era rivolto al Collegio di legittimità lamentando una discrasia tra la sanzione disciplinare irrogatagli e l'intervenuta assoluzione.
Doglianza, questa, giudicata infondata dagli Ermellini, atteso che non sussisteva, nel caso esaminato, alcun vincolo per il giudice rispetto all'assoluzione, effettuata ai sensi del secondo comma dell'art. 530 cod. proc. pen. (vale a dire sentenza di assoluzione quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile).
Correttamente quindi - con valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità - la Corte territoriale aveva utilizzato gli elementi probatori a propria disposizione per formulare il giudizio di responsabilità del ricorrente e pervenire a ritenere gravemente leso il rapporto fiduciario intercorrente con la società datrice.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".