La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19902 del 18 luglio scorso, ha accolto un ricorso del Fisco contro una decisione dei giudici provinciali e regionali che avevano annullato un accertamento induttivo nei confronti di una società di Forlì, che era solita pagare in contanti, in quanto i pagamenti eseguiti con tale modalità non provavano che le relative somme derivassero da operazioni non registrate. I giudici di legittimità hanno ribaltato le decisioni delle Commissioni tributarie precisando che, in presenza di un complesso di elementi dimostrativi della disponibilità di somme non contabilizzate, è legittima la presunzione dell'esistenza di ricchezza più ampia di quella dichiarata. I pagamenti in contanti senza disponibilità di cassa, fanno presumere, quindi, una contabilità parallela che legittima, di per sé, la rettifica della dichiarazione.
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