Capitali all’estero a rischio

Pubblicato il 28 febbraio 2008 Quanto afferma la sentenza della Cassazione 8743 del 27 febbraio 2007 è il principio che il professionista che, dichiarato un reddito basso, faccia versare ai propri clienti i compensi nel conto intestato a un suo familiare e, poi, sposti le somme all’estero, va processato per frode fiscale, subendo il sequestro dei beni. Per il reato di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, l’articolo 3 del dlgs 74/00 prevede la reclusione da un anno e mezzo a sei. “Quanto al reato contemplato dall’art. 3 del dlgs n. 74 del 2000, nel caso sottoposto all’esame della Corte di legittimità ricorrono sia l’azione esecutiva che la soggettività richiesta dalla norma incriminatrice, a nulla valendo la pretesa facilità con cui gli inquirenti hanno potuto parzialmente ricostruire i movimenti contabili e i sottesi profili di frode, avuto riguardo ai sistematici ed integrati mezzi fraudolenti, posti in essere dal professionista (…): quali l’avere fatto versare ai clienti dello studio le somme di denaro, relative all’attività professionale (…), in conto bancario intestato al familiare; l’avere spostato i capitali all’estero; l’avere trasferito la propria residenza nel Principato di Monaco e, più di recente, nell’avere costituito un’altra società con l’intento di deviare su di essa l’attività economica per eludere i controlli delle attività e con ciò rendere difficoltoso l’accertamento fiscale”. Non è valsa la tesi della difesa secondo cui il professionista non è punibile per l’articolo 3 richiamato se non ci sono problemi con la contabilità, confutata dalla considerazione della Suprema corte che i raggiri da egli effettuati fossero sufficienti per sostenere un processo per frode e gli altri espedienti da egli usati (il simulato furto delle scritture contabili) fossero tali da giustificare anche l’associazione a delinquere.
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