Aidc: illegittimità comunitaria dell'imposizione ai fini Iva fondata sugli studi

Pubblicato il 16 aprile 2011 L’Aidc si riserva di verificare se sia illegittima, anche in merito alle dirette, l’imposizione fondata sugli studi di settore ai fini Iva.

La “Commissione di studio per l’esame della compatibilità comunitaria di norme e prassi tributarie italiane” dell’Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili, ha denunciato davanti alla Commissione europea l'imposizione ai fini Iva fondata sugli studi. Con l’utilizzo degli studi di settore in ambito Iva si attua un “sistema procedimentale generalizzato” contrario al diritto “naturale” e positivo “comunitario”, per cui il contribuente deve essere tassato solo in base ai suoi “effettivi” e “specifici” presupposti di imposizione ai fini Iva.

È su questo preambolo che si snocciola la questione sollevata dell’illegittimità. Il punto è che gli studi di settore costituiscono solo indicatori di “media” probabilità di ammontare di ricavi annui che si ritengono conseguibili da un’impresa, ma anche da un professionista o un artista, in condizioni di normalità, tenuto conto di alcuni parametri (dimensioni organizzative o ambito territoriale in cui opera).

Legislatore e agenzia delle Entrate, si spiega nel documento di denuncia, tendono a “giustificare l’applicabilità degli studi ai singoli casi concreti”, ben sapendo di usare metodi “standardizzati” o di “massa” per facilitare accertamenti fiscali “a tavolino”, evitando di svolgere idonee indagini e verifiche fiscali specifiche ed inerenti ai casi concreti.

Di più, in merito al contraddittorio preventivo si denuncia come “Nel migliore dei casi, l’esito che ne deriva è dunque un imponibile IVA annuale comunque diverso dalla sommatoria dei corrispettivi effettivamente conseguiti in un anno perché frutto di attività pattizia e transattiva fra funzionario fiscale e contribuente il quale peraltro, è posto ... in posizione di disparità competitiva.”.
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