Abuso della professione per i consulenti che assistono fiscalmente aziende e professionisti

Pubblicato il 12 marzo 2011 Sentenza boom della Cassazione, la n. 10100 dell’11 marzo 2011, contro i consulenti del lavoro che prestano assistenza fiscale alle imprese ed ai liberi professionisti. Il consulente “avendo competenza in materia di redditi di lavoro dipendente, può legittimamente occuparsi della liquidazione e del pagamento delle relative imposte”: l’assistenza fiscale e contabile a lavoratori autonomi e imprese rientra in un campo per il quale non ha la necessaria abilitazione e, dunque, abusa della professione.

Nella sentenza si spiega che per stabilire se una prestazione rientri nell’articolo 348 del Codice penale – che punisce l’esercizio abusivo di una professione per cui è richiesta una speciale abilitazione dello Stato – non è necessario rinvenire nella legge che regola la professione abusata una clausola di riserva esclusiva sulla specifica prestazione, ma basta accertare che “la prestazione erogata costituisce un atto tipico, caratteristico di una professione per il cui esercizio manca l’abilitazione”. La stoccata finale chiarisce che per esercitare la professione di dottore/ragioniere commercialista la legge vuole il superamento dell'esame di Stato e l'iscrizione nell'apposito Albo, ne consegue che quella del commercialista è una professione protetta e le attività proprie di essa possono esplicarsi esclusivamente dal soggetto abilitato e iscritto all'albo.

La sentenza ha provocato ovviamente la reazione ferma della presidente del Consiglio nazionale dei Consulenti, Marina Calderone, che ha commentato: “Siamo in presenza di una sentenza sbagliata... secondo la Cassazione il consulente del lavoro - che può difendere imprenditori e aziende davanti ai giudici tributari per ricorsi aventi oggetto imposte e tasse di ogni genere - non ne potrebbe curare la contabilità. Oppure, può trasmettere le dichiarazioni fiscali degli stessi soggetti, ma senza compilare i modelli dichiarativi”. In sostanza, l’accusa della Calderone, che promette battaglia, è che i giudici si siano attenuti a quanto disposto dalla legge istitutiva (12/1979) sul fronte delle norme lavoristiche, non tenendo conto di tutte quelle competenze fiscali che i consulenti hanno acquisito in condivisione con altre categorie. Il Cno dei consulenti preannuncia autodenunce degli iscritti per esercizio abusivo della professione per ottenere giudizi più appropriati.

Dal lato Cndcec, Siciliotti commenta: “Abbiamo sempre accettato con serenità le pronunce giurisprudenziali nelle quali veniva affermata la sostanziale libertà di svolgere l'attività di consulenza e assistenza fiscale ... a maggior ragione rispettiamo e apprezziamo una pronuncia che rimette in discussione un punto sul quale a nostro avviso in passato c'era stata una certa faciloneria”. Prendendo atto che i giudici ci riconoscono il valore sociale delle attività tipiche, ben oltre la norma, dato che i commercialisti non hanno esclusive, tuttavia il presidente ritiene che sia il mercato ad esigere sovrapposizione di competenze. E conclude: “Abuso semmai è quando una prestazione complessa e con costi sociali pesanti è svolta da chi non ha le competenze. Mentre tutte le categorie dovrebbero avere l'onestà di riflettere sulla reale necessità di mantenere o rivendicare attività riservate”.
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