L’art. 36 comma 3 della Costituzione prevede che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite. A tale diritto il lavoratore non può rinunziarvi. Da tale precetto discende che le ferie, quali giornate di astensione dal lavoro retribuite, costituiscono un diritto irrinunciabile del lavoratore. Ratio delle ferie è l’esigenza di garantire la tutela dell’integrità fisica, psicologica e di salute del lavoratore, onde consentire a costui di risposare e di partecipare alla vita sociale e familiare.
L’attuazione normativa del suesposto principio è contenuta nell’art. 2109 c.c. e nell’art. 10 del D.lgs. n. 66/03. Vale evidenziare che, nel rispetto di tali previsioni normative, un ruolo di primo piano nella disciplina di fruizione delle ferie è giocato dai contratti collettivi.
L’art. 2109 c.c. stabilisce che il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità.
E invero, quanto alla durata, l’art. 10 del D.lgs. n. 66 cit. fissa una soglia minima del periodo di ferie annuali, pari a quattro settimane. Le ferie maturano nel corso del rapporto e i contratti collettivi possono solo aumentare il periodo di quattro settimane, senza nessuna facoltà di riduzione dello stesso.
In ordine alle modalità di godimento, l’art. 10 comma 1 del D.lgs. n. 66 cit. dispone che tale diritto debba essere fruito per almeno due settimane nel corso dell’anno di maturazione e per le restanti due settimane, nei diciotto mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. Nella prima ipotesi la fruizione delle ferie può essere anche continuativa sempre che il lavoratore ne faccia espressa richiesta.
Tematica molto discussa nella prassi è la modalità di determinazione del periodo di fruizione delle ferie. In altre parole spesso, negli ambienti di lavoro, si dibatte se una parte o la metà del periodo di ferie possa essere stabilita a discrezione del lavoratore. In senso atecnico e nella prassi, il concetto viene diffuso sull’assunto per cui il periodo di ferie viene scelto per metà dal lavoratore e per l’altra metà dall’imprenditore.
Si tratta tuttavia di un concetto non condivisibile.
Fatte salve diverse e più favorevoli disposizioni della contrattazione collettiva, l’art. 2109 c.c. nel prevedere che le ferie debbano essere fruite “nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”, non sottende una distribuzione tra le parti di simmetriche facoltà incidenti sulla determinazione del periodo feriale.
Al lavoratore viene riconosciuto un diritto soggettivo alle ferie, ma quest’ultimo non comprende anche la facoltà di stabilire il periodo dell’anno in cui intende fruire di parte delle stesse. Il lavoratore semmai può rappresentare al datore quando intende beneficiare del riposo.
Il potere di definizione delle ferie è appannaggio del datore di lavoro, il quale però è tenuto a esercitarlo, non ad libitum, o in maniera capricciosa e vessatoria (App. Roma Sez. lavoro, 05/10/2005), bensì tenendo in considerazione le aspettative e le richieste avanzate sul punto dal lavoratore, onde favorire una conciliazione tra interessi di quest’ultimo e quelli propri dell’organizzazione aziendale.
Ciò significa che se il bilanciamento tra gli interessi tecnici organizzativi aziendali e i bisogni addotti dal lavoratore non consenta il raggiungimento di un’intesa allora non pare revocabile in dubbio che la determinazione di tale periodo spetti esclusivamente al datore di lavoro (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 26/07/2013, n. 18166; Cass. civ. Sez. lavoro, 27/11/2012, n. 21028). Quest’ultimo comunque e per espressa previsione dell’art. 2109 comma 2 c.c. deve comunicare preventivamente al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie.
Altro aspetto di fondamentale importanza è il divieto di monetizzazione delle ferie per mancato godimento delle stesse; divieto sancito espressamente dall’art. 10 comma 2 del D.lgs. n. 66 cit.
Va rilevato che se è vero che al datore di lavoro spetta l’ultima parola su quando consentire al lavoratore l’astensione dal lavoro è altrettanto vero che tale decisione non può risolversi in una preclusione alla fruizione del beneficio.
Entro l’anno di vigenza del rapporto di lavoro, il datore è obbligato a collocare in ferie il lavoratore, per almeno due settimane, pena l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 18 bis, comma 3 del D.lgs. n. 66 cit. (cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 8 del 2005). Anzi, ove la contrattazione collettiva contenga disposizioni ostative allo slittamento delle ferie di cui all’art. 10 comma 1 del D.lgs. n. 66 cit., il datore vede permettere al lavoratore di fruire tutto il periodo di ferie entro l’anno di maturazione delle stesse.
Non è poi revocabile in dubbio che, contrariamente a quanto ammesso dalla contrattazione collettiva per i permessi retribuiti (R.O.L.), le ferie maturate e non fruite dentro i termini di legge o di contratto non possono essere monetizzate in corso di rapporto.
La liquidazione finanziaria delle ferie non fruite è applicabile esclusivamente nell’ipotesi in cui, all’atto di cessazione del rapporto di lavoro, e indipendentemente dal motivo di risoluzione dello stesso (cfr. Corte di Giustizia UE, Sentenza C-341-15 del 20/7/2016), il lavoratore non abbia goduto delle ferie residue. La giurisprudenza nazionale è orientata a riconoscere all’indennità sostituiva natura mista e cioè sia risarcitoria, sia retributiva (Cass. civ. Sez. lavoro, 29/01/2016, n. 1756; Cass. civ. Sez. lavoro, 29/01/2016, n. 1757; Trib. Torino Sez. lavoro, 18/10/2016; Trib. Milano Sez. lavoro, 08/07/2016), con la conseguenza che, ferma in ogni caso in sede ispettiva l’adozione della diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit. per l’erogazione dell’indennità, quest’ultima va comunque assoggettata a contribuzione previdenziale.
Non pare nemmeno ammissibile la fruizione delle ferie ad ore.
La precipua ed insopprimibile finalità delle ferie, secondo giurisprudenza consolidata, è quella di consentire il pieno recupero delle energie psico-fisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali e l’opportunità di svolgere attività ricreative e simili. Tali esigenze sarebbero frustrate laddove si accedesse alla tesi della fruizione frazionata ad ore delle ferie. Prova ne è il fatto che la normativa vigente non fa mai riferimento al concetto di fruizione oraria - e per il vero neppure giornaliera - delle ferie, ma contempla solo ed esclusivamente periodi di fruizione non inferiori alla settimana e che quasi tutti i contratti collettivi addirittura ribadiscono la regola di cui all’art. 10 comma 1 del D.lgs. n. 66 cit. inerente alla fruizione continuativa per almeno due settimane di ferie.
Pertanto i riposi giornalieri goduti in maniera frazionata non rientrano ontologicamente nel concetto di ferie, ma, semmai, in quello dei permessi, se del caso retribuiti ovvero delle ex festività.
Prima di passare alle modalità di registrazione delle ferie nel LUL, va rilevato che l’art. 2109 c.c. dispone che “non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso”. Ciò significa che non è ammessa la sovrapposizione delle ferie col termine di preavviso. Laddove si verifichi tale coincidenza temporale, la decorrenza del preavviso slitta ope legis (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-01-2017, n. 985) al termine delle periodo di ferie. Fermo restando che si potrebbe supporre persino un onere del datore, quale titolare del potere di organizzazione, di richiamare in servizio il lavoratore collocato in ferie durante il preavviso.
Da ultimo, ma non per ultimo, si osserva che le ore di ferie devono essere registrate nel LUL in maniera intellegibile, indicando le ore maturate e quelle godute dal lavoratore nel corso dell’anno, e indicando anche le ore di ferie residue spettanti a quest’ultimo.
Non pare consentito che le ore di ferie e le ore di permessi vengano registrate nel LUL in maniera promiscua, in un unico riquadro, atteso che ferie e permessi hanno rispettivamente un proprio trattamento normativo e contrattuale e tale trattamento come sopra descritto (es. in punto di monetizzazione), non è affatto assimilabile.
Considerato che tale differenziazione di disciplina osta a una registrazione promiscua degli istituti de quibus, si ritiene che laddove in sede ispettiva dovesse riscontrarsi una registrazione promiscua delle ore di ferie e permessi, potrebbe ipotizzarsi l’adozione, nei confronti del datore di lavoro, di un provvedimento di disposizione ex art. 14 D.lgs. n. 124 cit. a rettificare e separare le relative registrazioni.
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