La consulenza tecnica di parte può portare alla riduzione del sequestro preventivo, disposto sui beni dell’imprenditore ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Se detta consulenza viene tuttavia disattesa, il giudice, motivando il provvedimento, deve indicarne le specifiche ragioni.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, accogliendo l’istanza di alcuni imputati, volta ad ottenere la riduzione della somma oggetto di sequestro preventivo per equivalente - disposto nei loro confronti ai sensi degli artt. 322 ter, 640 quater c.p., nonché degli artt. 19 e 53 D.Lgs. n. 231/2001 – in virtù del minor importo risultante dai conteggi effettuati dalla consulenza tecnica di parte presentata dagli stessi ricorrenti. L’Istanza veniva dapprima respinta dal Tribunale del riesame, attraverso l’ordinanza qui contestata.
Preliminarmente, la Suprema Corte ribadisce il principio secondo cui, il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio (come nella specie), è ammesso solo per violazione di legge; con tale nozione dovendosi comprendere, tuttavia, sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante, ovvero privo di requisiti minimi di coerenza.
Orbene, l’ordinanza qui impugnata – conclude la seconda sezione con sentenza n. 1909 del 16 gennaio 2017 - presenta proprio tale vizio di motivazione, avendo motivato il rigetto dell’istanza del ricorrente, limitandosi ad affermare, in modo del tutto apodittico, che “una mera consulenza di parte non è sufficiente a giustificare la riduzione dell’importo sequestrato”, senza alcuna indicazione delle circostanze per cui si sono ritenute irrilevanti le deduzioni di cui alla consulenza medesima. L’ordinanza va pertanto annullata.
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