L’actio confessoria servitutis, l'azione, ossia, che spetta al titolare di una servitù a tutela del proprio diritto nei confronti di chi lo contesta, non comporta il litisconsorzio necessario nelle ipotesi in cui il fondo dominante o servente, od entrambi, appartengano pro indiviso a più proprietari. Il principio si estende anche all’opposta posizione di chi attivi un’azione negatoria servitutis al fine di impedire l’esercizio altrui in presenza di un fondo dominante o servente indiviso.
Questo, quando l’azione medesima sia volta soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l'esercizio, l'esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle molestie.
E difatti, anche se la servitù, al pari di qualsivoglia altro diritto, sorge per effetto di un titolo derivativo od originario il quale, per ciò stesso, la costituisce, non per questo la sentenza che ne accerta l'esistenza è essa stessa costitutiva, come invece avviene nelle ipotesi di servitù coattive disposte non per contratto bensì con sentenza.
Diversamente il litisconsorzio diventa necessario, qualora le azioni sopra citate (actio confessoria e negatoria servitutis) non si risolvano in un mero accertamento, ma siano dirette anche ad una modificazione della cosa comune, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni comuni, che non può essere disposta od attuata pro quota, in assenza di uno dei contitolari del diritto dominicale.
E’ quanto si desume dal testo dell'ordinanza della Corte di cassazione n. 6622 del 6 aprile 2016.
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