Coronavirus. Allarmi sulla Fase 2

Pubblicato il 28 aprile 2020

Con l’approdo del Dpcm 26 aprile 2020 nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 27 aprile 2020, è iniziata la Fase 2 dell’emergenza Coronavirus.

Come previsto, le aziende strategiche per l’export, compresi i settori funzionali, e molte filiere (moda, arredo, automotive, nautica, del metallurgico, della gomma e delle materie plastiche e settori funzionali) hanno già avuto il lasciapassare per la ripresa della produzione.

Ripartono prima del 4 maggio anche i cantieri per frenare il dissesto idrogeologico e quelli negli ambiti come sanità, scuola ed altri.

Resta fermo, per tutte le riaperture, il rispetto dei protocolli di sicurezza, che sono riportati come parti integranti del Dpcm.

Salteranno la data del 4 maggio 2020, tranne i ristoranti per il cibo da asporto, i negozi al dettaglio, che non riapriranno prima del 18 maggio, i bar, i ristoranti e i parrucchieri, che potranno riaprire il 1° giugno 2020.

Il rischio, ammonisce Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, è che molte attività non ce la faranno a ripartire: “La Fase 2 rinvia la riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi. Ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro”.

Sangalli chiede un incontro urgente con il presidente Conte per evidenziare l’impellenza di riaprire prima, ovviamente in sicurezza, e la necessità indennizzi e contributi a fondo perduto.

Si uniscono alle rimostranze tutti i settori già piegati dal lockdown.

Il numero uno di Confesercenti, Patrizia De Luise, scrive al presidente del Consiglio: “Quasi un mese di ulteriore rinvio per le attività commerciali e addirittura di più per ristoranti, bar e servizi alla persona, vuol dire aggravare ulteriormente la situazione economica, con il rischio concreto che molte attività chiudano per sempre”.

Coronavirus. Bankitalia regge il punto autocertificazioni

L’altro allarme viene da Bankitalia, in audizione alla Camera sul Decreto liquidità, che ritiene necessario mettere in campo risorse dirette per le imprese. Alla concessione di garanzie si dovrebbero affiancare “trasferimenti diretti alle imprese da parte dello Stato (volti a coprire, in misura da definire, le perdite di fatturato e le spese operative), operazioni condotte da veicoli finanziari pubblici costituiti per facilitare la ristrutturazione dei debiti delle aziende, incentivi fiscali miranti ad agevolarne la ricapitalizzazione”.

E Banca d’Italia torna sulla battaglia dell’autocertificazione da parte delle imprese: “Al fine di dare immediata evidenza alle cause e alla portata delle difficoltà aziendali, una soluzione potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo esteso dell’autocertificazione della perdita di fatturato subita. Sarebbe questa un’operazione che non rallenterebbe la formulazione e l’esame della richiesta e che, se accompagnata dagli opportuni controlli ex post, potrebbe costituire un disincentivo a comportamenti opportunistici”.

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