Anche se nel nostro ordinamento il contratto a tempo indeterminato costituisce la forma comune dei rapporti di lavoro, nella sua evoluzione storica la normativa dei contratti a termine si caratterizza per la progressiva diminuzione dei vincoli previsti alla sua stipula: nell'attuale disciplina esso è infatti sempre ammesso, salvo nei casi in cui sia espressamente vietato e con specifici limiti quantitativi e di durata.
In questa sede ci soffermiamo sulla disciplina nazionale vigente, con particolare riferimento all’impatto del nuovo impianto normativo nei CCNL più rappresentativi.
L’articolo 24 del decreto Lavoro riformula la disciplina delle condizioni e limitazioni inserite dal precedente decreto dignità a modifica dell’art. 19 del decreto legislativo n. 81/2015.
In particolare, il limite di dodici mesi di acausalità può essere derogato in primis dalla contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero, in mancanza, dalle ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo individuate dalle Parti o da datore di lavoro e lavoratore.
La possibilità di superare i primi dodici mesi di acausalità è dunque attualmente prevista:
NOTA BENE: L'atto scritto deve contenere la causale solo se la proroga o il rinnovo dello stesso rapporto di lavoro ecceda il termine complessivo di dodici mesi.
Con riferimento alle nuove causali interviene il Ministero del lavoro con la circolare n. 9/2023, precisando che la nuova lettera b) del comma 1 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2015 dispone che le condizioni possono essere individuate anche dai contratti collettivi applicati in azienda, fermo restando il rispetto delle previsioni di cui all’art. 51 del medesimo D.Lgs. n. 81/2015 relativi alla qualificazione dei soggetti stipulanti.
La stessa lettera b) introduce poi la possibilità che le Parti del contratto individuale di lavoro - in assenza di previsioni contenute nei contratti collettivi - possano individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro di durata superiore ai dodici mesi ma non superiore ai ventiquattro.
NOTA BENE: Le Parti individuali possono avvalersi solo temporaneamente di tale possibilità entro il 31 dicembre 2024 (l’originaria scadenza del 30 aprile 2024 è stata spostata dal decreto Milleproroghe), consentendo in tal modo alle Parti sociali di adeguare alla nuova disciplina i contratti collettivi, le cui previsioni costituiscono comunque fonte privilegiata in questa materia; la data del 31 dicembre 2024 è riferita peraltro alla stipula del contratto di lavoro che, pertanto, può anche andare oltre il limite temporale fissato.
Da quanto detto fino ad ora risulta dunque evidente il ruolo centrale che assume la contrattazione collettiva nazionale nella scelta delle causali da inserire nei contratti a termine.
Occorre però precisare che l'individuazione di specifiche esigenze da parte della contrattazione collettiva non abilita di per sé l'azienda ad avviare rapporti di lavoro a tempo determinato, restando infatti in capo al datore di lavoro l’onere di valutare se tali ipotesi siano coerenti con il contesto aziendale, anche al fine di evitare un eventuale contenzioso.
Ampio spazio quindi alla contrattazione collettiva, cui viene concessa la possibilità di stabilire specifiche causali utili alla stipula di contratti a tempo determinato.
Vediamo ora quali sono i CCNL che hanno provveduto in tal senso.
Per quanto riguarda, ad esempio, il CCNL Metalmeccanica, Commercio Terziario e Tessili Industria, gli attuali testi sono allineati alla disciplina in vigore del contratto a termine e, pertanto, in attesa del recepimento da parte dei CCNL, è possibile andare oltre il termine dei dodici mesi con un eventuale accordo collettivo aziendale stipulato con le RSA o le RSU (in assenza delle RSA/RSU subentra come detto la volontà delle Parti).
Di seguito, un quadro riassuntivo dei contratti collettivi che sono invece intervenuti secondo i nuovi dettami introdotti dal decreto lavoro:
CCNL |
Articolo |
Causale |
Art. 38 |
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Art. 28 |
Stipula di contratti a termine collegati alla fase di ripresa dell’economia e/o agli interventi del PNRR, non ancora consolidati in maniera strutturale, in cui ricorra almeno una delle seguenti ipotesi:
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Art. 93 |
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Negli anni di vigenza della vecchia causale di cui al D.Lgs. 368/2001 (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), emerge che il contenzioso legato al disconoscimento della motivazione indicata nel contratto individuale rappresentava circa l'80% di tutte le vertenze instaurate sui contratti a tempo determinato.
Per le prime due causali introdotte dal decreto lavoro è senza dubbio quindi necessario dettagliare le casistiche e le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva per non rischiare, in caso di contenzioso, l'annullamento del contratto a termine e la sua conversione in contratto a tempo indeterminato.
È probabile però che tale situazione si ripeta anche utilizzando la causale stabilita tra le parti ai sensi dell'art. 24 del decreto lavoro, posto che la formulazione è quasi del tutto conforme e non è inoltre verosimile che, pur prevedendo la norma che le specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva debbano essere individuate dalle Parti, il lavoratore possa essere inibito dal ricorrere al giudice del lavoro per il semplice fatto di aver individuato, in condivisione con il datore di lavoro, l'ipotesi stabilita nel contratto individuale.
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