La mera notifica, da parte di uno Stato membro, della propria intenzione di recedere dall’Unione europea non comporta che, in caso di emissione da parte di tale Stato membro di un mandato d’arresto europeo nei confronti di una persona, lo Stato membro di esecuzione debba rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo o rinviarne l’esecuzione in attesa che venga chiarito il regime giuridico che sarà applicabile nello Stato membro emittente dopo il suo recesso dall’Unione europea.
E’ questa l’interpretazione dell’articolo 50 del TUE resa dalla Corte di giustizia Ue nel testo della sentenza pronunciata il 19 settembre 2018, con riferimento alla causa C-327/18.
Nella specie, la domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte Ue era stata presentata nell’ambito dell’esecuzione, in Irlanda, di due mandati d’arresto europei emessi dai giudici del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord nei confronti di un uomo, accusato di vari reati.
Secondo i giudici europei, lo Stato membro di esecuzione non può rifiutare l’esecuzione del medesimo mandato d’arresto europeo fintanto che lo Stato membro emittente faccia parte dell’Unione europea.
Questo, se manchino ragioni serie e comprovate di ritenere che la persona oggetto di tale mandato rischi di essere privata dei diritti riconosciuti dalla Carta e dalla decisione quadro 2002/584/GAI a seguito del recesso dall’Unione dello Stato membro emittente.
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