Il lavoro accessorio tra occasionalità e riqualificazione in senso subordinato

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L’impresa Alfa, esercente attività alberghiera e di ristorazione, in data 20/03/2011 comunica all’INAIL l’assunzione della studentessa Tizia, quale lavoratrice accessoria, per il periodo compreso tra il 01/04/2011 e il 30/09/2011. Tizia ha 23 anni ed è regolarmente iscritta a un ciclo di studi presso l'Università; in ragione di ciò può effettuare attività lavorative di natura occasionale in qualsiasi settore produttivo (cfr. art. 70, comma 1, lett. e) D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, come modificato dai commi 148 e 149 della Legge 191 del 23 dicembre 2009 (Legge Finanziaria 2010). La studentessa si impegna a rendere la propria prestazione di intrattenimento della clientela ogni sera, per tre giorni alla settimana e con retribuzione pattuita di € 20,00 al giorno, da corrispondersi mediante buoni lavoro. Il 2 settembre 2011 il personale ispettivo effettua un accesso presso l’Impresa ed esamina la posizione di Tizia. All’esito delle verifiche gli ispettori redigono verbale con cui contestano la qualificazione del rapporto accessorio di Tizia, poiché privo del requisito dell’occasionalità; il rapporto viene quindi ricondotto nell’alveo della subordinazione, con conseguente recupero contributivo.




Lavoro occasionale di tipo accessorio: caratteristiche

Occorre premettere che le prestazioni di lavoro occasionale di tipo accessorio (di seguito per brevità LOA) sono state introdotte per la prima volta nel nostro ordinamento dall’art.4, co.1, lett.d) della L. n. 30/03 (c.d. Legge Biagi), e attualmente sono disciplinate dal D.Lgs. n. 276/03 (artt.70-73).

Con l’introduzione di questo istituto, il Legislatore delegato si era prefissato di realizzare i seguenti obiettivi:

  • ricondurre nella legalità una serie di prestazioni lavorative tendenzialmente svolte in forma “sommersa”;

  • attribuire, ai lavoratori in tal modo coinvolti, una sostanziale copertura previdenziale ed assicurativa in precedenza del tutto assente;

  • favorire l’occupazione di alcune fasce di lavoratori considerati marginali e quindi “a rischio di esclusione sociale o, comunque, non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne”.

L'originaria stesura dell’art. 70, comma II contemplava un doppio limite:

  • temporale: giacché l'attività doveva avere durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare;

  • reddituale: la prestazione, in ogni caso, non doveva complessivamente dar luogo a compensi superiori a 3 mila euro sempre nel corso di un anno solare.

Successivamente, anche in relazione ai mutamenti intervenuti in ambito economico e lavoristico, tali parametri sono stati rimossi poiché:

  • il limite reddituale annuo è stato incrementato;

  • è stato eliminato il parametro temporale;

  • è stato abolito il riferimento al tetto massimo di reddito complessivo per il lavoratore.

Sicché, l'attuale art. 70 comma II stabilisce che “le attività lavorative di cui al comma 1, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che non danno complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare”.

Seguendo il testo normativo il lavoratore potrebbe svolgere questa particolare tipologia di lavoro:

  1. senza limitazione alcuna in termini di continuità della prestazione;

  2. senza limitazione alcuna in termini di reddito complessivo nei confronti di più committenti;

  3. con l'unico limite di non superare il tetto massimo di 5.000,00 euro di compensi nel corso di ciascun anno solare (dal 1° gennaio al 31 dicembre) nei confronti di ogni committente.

E infatti se è vero che la rubrica della legge continua a qualificare tali rapporti in termini di occasionalità e di accessorietà, occorre pur sempre rilevare che il titolo della legge non assume valenza significativa per l’interprete, essendo per quest’ultimo decisivo il solo dato testuale e razionale del dettato normativo.

Tuttavia il requisito dell'occasionalità, sebbene soppresso nel testo della norma, è stato reintrodotto dalla prassi istituzionale mediante una discutibile esegesi additiva.

In particolare l’INPS ha ripetutamente affermato che “per prestazioni di lavoro di tipo accessorio s’intendono quelle attività non riconducibili a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o autonomo, che sono rese nell’ambito delle attività tassativamente indicate dall’art. 70 del D.Lgs. n.276/03 o da soggetti che sono in possesso di determinati requisiti soggettivi. Più in particolare per prestazioni di lavoro accessorio s’intendono attività lavorative svolte in maniera discontinua e saltuaria ed aventi natura meramente occasionale”.

Il Ministero del Lavoro, con le risposte ai molteplici interpelli, non pare aderire in maniera inequivocabile alla tesi dell'INPS, ma nel "Vademecum - Buoni Lavoro per lavoro occasionale accessorio" formulato congiuntamente all'Istituto, vengono sostanzialmente riprese le posizioni di quest'ultimo.

Tale impostazione non appare del tutto convincente in quanto, non solo si pone in contrasto con il dettato della legge, ma risulta altresì foriera di disomogeneità applicative, essendo il requisito dell’occasionalità difficilmente accertabile in senso oggettivo.

Al riguardo si riporta uno stralcio del pensiero del giuslavorista Pietro Ichino: “Il principio dell'occasionalità è stato nella sostanza frantumato, dando la possibilità alle parti di utilizzare la prestazione nel lungo arco di un anno e per più committenti. È vero che l'aggettivo è rimasto, ma trattasi di mera forma, contraddetta nella sostanza della legge. È, quindi, inesatto quanto a più riprese continua a ripetere l'Inps nella circolare n. 44 del 23 marzo 2009 […]".

Esame del caso concreto

Le osservazioni fin qui formulate consentono di trarre le prime riflessioni in merito al verbale adottato dall’INPS nei confronti dell’Impresa Alfa; tale atto per un verso è conforme alle indicazioni contenute nelle circolari, mentre per altro verso contrasta con il dettato normativo.

Sotto il primo profilo si può convenire con il personale ispettivo nel ritenere che la prestazione di Tizia, in quanto svolta per un periodo di oltre quattro mesi in maniera costante, temporalmente cadenzata e contrassegnata da retribuzione fissa, non appare definibile come accessoria e occasionale ma piuttosto sistematica e continuativa.

La legittimità del verbale potrebbe risultare invece compromessa laddove quest’ultimo venga vagliato in base al disposto normativo, secondo il quale il LOA può essere svolto in regime sia di autonomia, sia di subordinazione, ergo, per un solo giorno o saltuariamente, ovvero anche tutti i giorni, in maniera pressoché costante e abituale, osservando o meno orari predeterminati e ricevendo una prestabilita entità di voucher a cadenze fisse. Il tutto a patto che non vengano superati i limiti reddituali stabiliti dalla legge.

In altri termini: premesso che l'occasionalità della prestazione non costituisce elemento strutturale della fattispecie del LOA, ne segue l’esclusione di tale requisito dall’ambito delle verifiche ispettive, le quali invece avranno ad oggetto la presenza o l’assenza dei seguenti elementi:

  • effettuazione della comunicazione preventiva all'INAIL;

  • causali oggettive e/o soggettive;

  • l'osservanza dei limiti reddituali;

  • la durata del rapporto denunciata.

La riqualificazione del lavoro accessorio in lavoro subordinato

Sicché ove il rapporto sia stato tempestivamente denunciato all’INAIL e si sia svolto nei limiti temporali oggetto di comunicazione preventiva, ma non siano stati rispettati gli ulteriori elementi identificativi della fattispecie (es. le causali oggettive o soggettive ovvero i limiti reddituali) il personale ispettivo non potrà che procedere ad una riqualificazione del rapporto stesso.

In tal caso il punto delicato è comprendere se tale qualificazione operi presuntivamente in favore del lavoro subordinato, così come pare sostenere il Ministero del lavoro con circolare n. 38/10, ovvero se a tale qualificazione si debba giungere attraverso un esame che abbia ad oggetto le effettive modalità di svolgimento della prestazione di lavoro.

Quest’ultima soluzione, al contrario della opzione ministeriale, sembrerebbe più corretta e rispettosa dei principi che informano la materia lavoristica, considerato che, giuste le considerazioni della giurisprudenza di legittimità, “ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento […]”.

Secondo tale prospettiva la qualificazione subordinata del rapporto potrebbe evincersi dalla continuità della prestazione, che in gran parte dei casi si traduce nella “messa a disposizione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, nel senso che è quest'ultimo a stabilire se e il quando della prestazione.

In conformità a tale criterio appare ragionevole sussumere nell’alveo della subordinazione la prestazione lavoristica resa da Tizia per l’impresa Alfa in quanto svolta continuativamente, per oltre quattro mesi, con un orario pressoché sistematico e costante. Tale soluzione, quantunque conforme a quella contenuta nel verbale ispettivo, se ne discosta sotto il profilo argomentativo, poiché la qualificazione subordinata del rapporto non opera in via presuntiva, per effetto della riscontrata carenza del requisito dell’accessorietà, ma piuttosto costituisce il risultato di un procedimento sillogistico, basato sull’effettivo riscontro delle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ritiene che la continuità della prestazione non costituisca requisito dirimente ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, giacché:

  • spesso è riscontrabile anche nel lavoro autonomo;

  • viene considerata continuativa anche la prestazione svolta non in via quotidiana o in modo non ininterrotto.

La subordinazione allora sarebbe data dall'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro (emanazione di ordini specifici e non semplici direttive compatibili anche con il lavoro autonomo, cfr. Cass. Civ 1682/05 Cass. Civ. 9764/04). Per inciso va evidenziato che tale potere può essere esercitato dal datore di lavoro con diversa intensità in ragione della posizione ricoperta dal lavoratore (cfr. Cass. Civ. 550/94). Sicché:

  • sarà più stringente e puntuale nel casi di prestazioni di basso contenuto professionale;

  • sarà di larga massima quando la prestazione è altamente specialistica.

In secondo luogo si ritiene essenziale che la prestazione resa lavoratore sia inserita e coordinata sotto il profilo spazio-temporale nell’ambito del ciclo produttivo aziendale.

Non da ultimo occorre altresì che il datore di lavoro eserciti un effettivo potere disciplinare nei confronti del lavoratore volto a punire quest’ultimo per l’ipotesi di violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà.

Costituisce dunque onere del personale ispettivo, qualora intenda disconoscere il rapporto di lavoro dichiarato dalle parti per ricondurlo nell’alveo della subordinazione, accertare concretamente la sussistenza degli elementi sopra descritti. Solo ove tali elementi dovessero risultare carenti la giurisprudenza ammette il ricorso a valutazione unitaria di indici sussidiari, quali:

  • l’osservanza di un orario di lavoro;

  • la cadenza e la misura fissa della retribuzione;

  • l’utilizzo dei mezzi produttivi del datore di lavoro;

  • l’obbligo di giustificare le assenze, solo se la mancata giustificazione comporti sanzioni disciplinari per il lavoratore.

Come disposto dall’art. 33, comma 4, lett. a) della L. 183/2010 (c.d. "Collegato Lavoro") le risultanze dell’accertamento ispettivo dovranno poi essere esposte nella motivazione del verbale conclusivo, onde evidenziare quanto è avvenuto nel procedimento ispettivo e come si è formata la volontà dell'amministrazione.

Nel caso che occupa la qualificazione subordinata del rapporto operata in via presuntiva dal verbale ispettivo, a seguito del disconoscimento del LOA intercorso tra Tizia e l’Impresa Alfa, contrasta con la metodologia di accertamento testé esposta, che, ripetesi, postula l’onere da parte del personale ispettivo della concreta verifica dei presupposti previsti dell’art. 2094 c.c..

Note

i cfr. D.lgs. n. 251/04.

ii cfr. D.lgs. n. 251/04.

iii cfr. art. 1 bis L. n. 80/05.

iv Al netto dei contributi – cfr. Circolare INPS n. 88/09.

v Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 9899/90.

vi cfr. Circolare INPS n. 44 del 24/03/09; Circolare INPS n. 88 del 09/07/09; Circolare INPS n. 17 del 03/02/2010.

vii Interpelli Ministero del Lavoro n. 17/2009, 37/2009, 16/2010, 21/2010, 32/2010, 42/2010, 46/2010.

viii Reperibile all'indirizzo http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/0C39A0B1-698C-4CD7-A614-7C1715051283/0/Vademecumbuonilavoro.pdf

ix Pietro Ichino, in Relazione al "Convegno all'Accademia dei Lincei": "Il contenuto del precetto costituzionale è diverso a seconda del contesto economico in cui la questione si pone".

x cfr. art. 70, comma 1, D.Lgs. 276/2003 e successive modifiche e integrazioni.

xi In nota, nel fornire indicazioni circa l’applicabilità della maxisanzione al LOA non comunicato, il dicastero opta per una pregiudiziale qualifica subordinata del rapporto atteso che per effetto delle modifiche introdotte dalla L. n. 183/10 la maxisanzione è applicabile esclusivamente per i lavoratori subordinati.

xii cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 11/02/2004, n. 2622.

xiii cfr. Cass. Civ. n. 8569/04; Cass. Civ. 4799/04; ex multis Cass. Civ. n. 2622/04; Cass. Civ. 3001/02.

xiv Es. contratti di collaborazione svolti in via coordinata - cfr. Cass. Civ. n. 18040/07.

xv cfr. Cass. Civ. n. 9151/04.

xvi Problematiche si presentano allorché il datore di lavoro non esercita affatto il potere direttivo sul lavoratore subordinato allorché quest'ultimo:

  • conosce esattamente i suoi compiti;

  • li svolge esaurientemente;

  • la ricorrenza della subordinazione in tal caso potrà essere riscontrata solo allo stato potenziale (cfr. Ichino, Il lavoro subordinato definizione e inquadramento, Milano, 1992, 23).

xvii cfr. Cass. Civ. n. 18962/07; 13185/03; 7139/03.

xviii cfr. Cass. Civ. n. 1893/07, Cass. Civ. 21646/06.

xix Cass. Civ, n. 21380/08.

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